Numero
12

Il borgo che guarda il mare

Il borgo che guarda il mare Il borgo che guarda il mare

I vicoletti stretti e bianchi, dove le macchine non arrivano e i bambini possono giocare in libertà. Le voci degli operai che imbiancano una casa e che echeggiano nel torpore di un pomeriggio estivo.

Le case incastonate l'una sull'altra, con i balconi fioriti, i portoncini di ferro e le bouganville viola che si arrampicano verso i tetti. Il casolare dei misteri, ormai occupato da erbacce e arbusti, con un cancello che si apre sull’azzurro, abbandonato lungo la campagna verso Raito e custode di un panorama limpido su Vietri sul Mare. La sagoma del Monte Falerio con la sua vetta appuntita, che tutto vede e tutto protegge.

Albori è uno dei borghi più belli d’Italia e ha una storia antica, che si confonde con il mito. Si racconta che il suo nome derivi da Arvo, uno degli argonauti di Giasone, che trovò riparo nella marina della vecchia Marcina, oggi Vietri sul Mare, per difendersi dalla furia di Eolo. Arvo si innamorò così tanto di questo posto che decise di restarci per sempre. Un’altra tradizione racconta che il nome Albori fa riferimento agli albores, gli alberi, perché anticamente si saliva verso il Monte Falerio a piedi a raccogliere la legna per costruire le navi.

E in un posto baciato dal clima mediterraneo e con una vegetazione rigogliosa, poteva mai mancare una sorgente dell’acqua fonte di storie e racconti da tramandare di generazione in generazione? Ecco perché si narra che la fonte di acqua minerale Albola avrebbe dato il suo nome al paese.

Accantonando la mitologia, furono gli Etruschi a scegliere l’antica Vietri sul Mare come avamposto per i loro commerci, convinti proprio dalla dolcezza del clima e dall'abbondanza di acque.

Occupata prima dai Sanniti e poi dai Romani, la città fu rasa al suolo dalle truppe di Genserico nel 455 d.C. oppure da un maremoto, finché gli abitanti sopravvissuti decisero di abbandonare la marina e risalirono la collina per stabilirsi in alto, dove oggi sorge Albori, per sfuggire alle incursioni dei Saraceni, come testimonia un documento del 1324 dove per la prima volta si parla di un casale di Albori, a 300 metri sul livello del mare.