Numero
07

Il canto immortale di Partenope

Il canto immortale di Partenope Il canto immortale di Partenope

Napoli. Poche città al mondo hanno regalato, all’immaginario collettivo, simbologie così intrecciate e profonde, in grado di attraversare i secoli, le religioni, la vita sociale stessa.

D’altra parte non è un caso che l’intera città venga identificata con un simbolo mitologico che affonda le sue radici nell’antica Grecia: quella Sirena Partenope, addolorata dall’indifferenza di Ulisse al suo canto, che si lasciò morire al largo di Megaride, isolotto che molti secoli dopo verrà identificato con il Borgo Marinari e Castel dell’Ovo.

Il corpo inerme di una Sirena che, da allora, si trasforma nel suo contrario e diventa simbolo di vita e fecondità. La venerazione della divinità femminea era diffusa già ai tempi degli antichi greci, che sull’acropoli di Sant’Aniello a Caponapoli, poco distante da quello che oggi è il Museo Archeologico Nazionale, costruirono dei templi dedicati proprio a Partenope e alla fecondità marina, cui Napoli doveva l’esistenza del suo primo nucleo: Palepoli, la città vecchia.

Il viaggiatore attento, che non si contenta di guardare sulla superficie della Storia, può ancora oggi ritrovare alcuni simboli e testimonianze che riportano in vita la Sirena.

"Napoli, la città della giovinezza, attendeva Parthenope e Cimone; ricca, ma solitaria, ricca, ma mortale, ricca, ma senza fremiti. Parthenope e Cimone hanno creata Napoli immortale"
Matilde Serao

Il primo passo affonda proprio nell’antichità greca. Palazzo San Giacomo, edificio ottocentesco oggi sede dell’amministrazione comunale, ospita “Marianna capa ‘e Napule”: un enorme volto scolpito nella pietra che, già dal soprannome, fa intuire il profondo legame tributato dal popolo napoletano. Furono due storiografi e letterati del Seicento, Carlo Celano e Giovanni Antonio Summonte, che identificarono il volto con quello della Sirena Partenope. Studi più recenti hanno invece indicato in quelle fattezze la dea Afrodite, venerata in un tempio tardo-greco dell’antica Neapolis.

Al di là dell’attribuzione storiografica, “Marianna capa ‘e Napule” è l’esempio di come in una singola statua, sacra o profana che fosse, sia stata caricata di significati profondi e simbolici da tutto il popolo napoletano. E d’altra parte Marianna, prima di essere posta sullo scalone monumentale che conduce ai piani alti di Palazzo San Giacomo, era per davvero la statua del popolo, abituata a vegliare sulla vita di strada, sui commerci, nell’immaginifico intreccio dei vicoli nella Napoli del Seicento.

Il suo posto era infatti piazza Mercato, nel punto in cui sbocca via Sant’Eligio, quello che oggi è il borgo degli orafi. Testimone della rivolta di Masaniello – quando i soldati spagnoli pensarono bene di privarla del naso – della Repubblica napoletana del 1799 e della Restaurazione borbonica dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, Marianna è davvero passata (quasi) indenne lungo un millennio di storia napoletana, dall’Antica Grecia a oggi. Quale miglior simbolo di una Sirena – la città di Napoli – che, ogni volta data per morta, rinasce sempre dalle sue ceneri?

Spostiamo il cannocchiale della Storia dalla Napoli pre-romana alla fine del ‘400, dai vicoli di piazza Mercato a quelli che costeggiano l’attuale corso Umberto, che i napoletani chiamano da sempre “Rettifilo”. Siamo di fronte alla Fontana della Spinacorona, affettuosamente appellata dal popolo napoletano come Fontana “delle zizze”. Il soprannome è presto spiegato: una Sirena, nella sua forma greca classica di metà donna e metà rapace, è intenta a spegnere con l’acqua che sgorga dai suoi seni le fiamme che si innalzano dal Vesuvio. La portata simbolica è chiara: Partenope, protettrice “profana” di Napoli, veglia costantemente sulla città, anche nei momenti di maggior pericolo. Oggi la statua è stata sostituita da una copia. Quella originale è esposta al Museo Nazionale di San Martino, facilmente raggiungibile con la vicina metropolitana di piazza Bovio (anch’essa, manco a dirlo, chiamata dai napoletani in altro modo: piazza Borsa).

Dalla Partenope protettrice a quella trionfante. Questo suggerisce la statua che si erge dal 1869 a Napoli, prima di fronte la stazione centrale, attualmente in piazza Sannazaro. La Partenope scolpita da Onofrio Buccini, con la collaborazione di Francesco Jerace, presenta una quantità considerevole di simbolismi: nella mano destra stringe una lira, simbolo di ricchezza e prosperità; il braccio sinistro è rialzato, puntando verso l’alto, a indicare la retta via da seguire per il popolo napoletano; la coda da pesce è avvolta intorno al corpo, simbolo di protezione per Napoli e i suoi abitanti.

A differenza della Fontana “delle zizze”, dove la Sirena è rappresentata nelle sue fattezze greco-antiche, la Partenope di Buccini e Jerace riprende la simbologia nord-europea: una donna metà umana e metà pesce, riferibile più all’acqua che all’aria, come invece accadeva ai tempi di Ulisse e Omero.

Sia come sia, rapace o pesce, arpia o docile creatura delle acque, il fascino di Partenope non ha mai smesso di ammaliare gli artisti di ogni secolo, compresi quelli contemporanei. Basta fare un giro per le strade di Materdei, quartiere a metà fra il Rione Sanità e la collina che porta al Vomero, per ammirare la Partenope dello street artist argentino Francisco Bosoletti. Un murales gigantesco di 15 metri che ricopre l’intera facciata di un condominio in Salita San Raffaele, raffigurante una Partenope dal crine nero che mette tutti d’accordo: mitologia greca antica e nordeuropea. Al collo avvolto in una corona di penne d’uccello, come rimando alle forme della Spinacorona, fa da contraltare una coda a forma di donna-pesce, rivestita da foglie di un verde acceso che richiamano la natura urbana, l’incontrastato potere della bellezza, il respiro di una città che non si arresta mai.

Dai templi della Neapolis ellenica alla street-art contemporanea, Partenope continua a vegliare su chi non ne ha mai dimenticato la storia e il mito, consegnando questa figura alla leggenda di una popolazione intera.