Un tempo si chiamava Orcla, era una città viva nel cuore della Tuscia viterbese, abitata sin dall’Età del Bronzo, anche se fu con gli Etruschi che conobbe il momento di fama e di splendore.
Sorgeva lungo la via Clodia, la storica strada che collegava Roma a Saturnia, in località Cinelli, tra Vetralla e Viterbo, proprio nel punto di incontro tra i torrenti del Pile, di Acqualta e del Biedano. E sorgeva in una posizione elevata, strategica per difendersi dalle incursioni nemiche e dagli attacchi della malaria, che in zone così ricche di acqua e di umidità costituiva una minaccia concreta.
Oggi si chiama Norchia ed è uno dei villaggi rupestri più grandi e più affascinanti dell’Italia centrale, nascosta nella valle alla fine di un lungo viale di eucalipti bianchi e terreni coltivati. Un luogo segreto, poco conosciuto, poco pubblicizzato e anche poco valorizzato dalle istituzioni.
Come fosse la città dei vivi, l’acropoli, oggi possiamo solo immaginarlo osservando il colombario, i resti della chiesa di San Pietro, oggi abitata da arbusti e da lucertole schive, oppure camminando lungo la tagliata, le antiche vie strette e lunghe, simili a tagli nella roccia, forse le opere più caratteristiche tra le tante lasciate dagli Etruschi.
La città dei morti invece è ancora lì, intatta, scavata, intagliata nella roccia di tufo rossastro, proprio davanti alle acque del Pile e di Acqualta, nascosta in una vegetazione selvaggia, che in autunno mostra tutte le tonalità di marrone, di giallo, di rosso, di verde sbiadito dalla pioggia e dal freddo.