Numero
18

Al faro

Al faro Al faro

Ha aperto il suo occhio quasi 150 anni fa, quando il Sud Italia era fresco di affidamento ai Savoia, poco prima che i bersaglieri aggiungessero Roma al regno. Prima c'erano solo delle torri, volute dal viceré di Napoli per sorvegliare il mare. 

É lì, però, che lo sguardo del faro è sempre stato: alle onde del Mediterraneo, sempre le stesse e in ogni istante diverse, fra il Golfo di Pozzuoli e il Canale di Procida.

Ancora oggi serve per segnalare ai naviganti il promontorio di Capo Miseno, affinché l'ansia di raggiungere Capri o Ischia, o la malinconia di averle già lasciate, non li porti tra gli scogli. La punta del promontorio, dicono i geologi, faceva parte di un cratere. Ma più che il pensiero dell'inquietudine e della rabbia vulcanica di trentamila anni fa, oggi nascoste ma non del tutto placate sottoterra, è il movimento eterno e rassicurante del Mare Nostrum a costituire il fulcro della passeggiata.

La leggenda racconta che Miseno era un trombettiere di Enea: il promontorio sarebbe un cumulo di terra sotto il quale l'eroe troiano aveva sepolto lo sfortunato compagno, morto dopo avere osato sfidare Tritone nel suono della tromba. Ma non è un duello assordante quello che attende i viaggiatori: è solo il sibilo del vento che pulisce il cielo e regala un panorama che lascia a bocca aperta. Premio meritato per chi si inerpica sul sentiero che arriva in cima.