I signori del Faito sono nascosti fra le fronde dei vassalli più giovani. Bisogna cercarli nel bosco folto per scoprirne la maestà, per immaginarne il passato.
E capire che quelle fenditure della corteccia hanno visto le ceneri sparse nell’eruzione del Vesuvio del 1631, che i rami più robusti hanno forse sentito la terra tremare nel sisma del 1688. Sono ancora lì, e lì resteranno ancora a lungo, i faggi del monte.
La parola “centenari” non basta, perché comprendere la misura del tempo, il passaggio dei secoli, è al di fuori dell’esperienza umana. Però rivolgendo in alto gli occhi, con lo sguardo impegnato a filtrare fra le foglie, i sensi percepiscono la necessità di un omaggio alla natura.
La foresta dei faggi è una cattedrale. Un mondo fitto di tronchi verticali e rami orizzontali, con la luce che vibra attraverso le fronde, formando un gioco di raggi tagliati e mutevoli. Il silenzio è rotto solo di tanto in tanto da un rametto che si stacca. Il sottobosco del fogliame caduto è uniforme, di uno spessore morbido che attutisce i passi, inducendo raccoglimento e rispetto.
Accanto ai faggi si indovinano i fossati delle neviere, che raccontano l’ingegnosità nobile del passato, quando i bisogni dell’uomo trovavano una risposta nella natura, senza elettricità, senza energia che non fosse quella delle stagioni. I rami dei faggi, che un tempo proteggevano le riserve di neve dal sole, permettendo agli uomini di dedicarsi al commercio del ghiaccio a valle, oggi assorbono la luce e i rumori, restituendo un senso ovattato di estraneità, di lontananza dal caos, di pace ritrovata.
Gli uccelli si fanno sentire, ma lontani, sopra il cielo di foglie, come nelle foreste equatoriali. E i solchi scavati alla ricerca di radici tradiscono la presenza dei cinghiali. Gli animali sono nascosti, disposti a lasciar campo libero all’uomo, attendendo solo la difesa dell’oscurità. E anche per i viaggiatori il senso di calore è quasi solido, tanto che al ritorno ci si guarda indietro, esposti alla luce e al vento, rimpiangendo la protezione dei signori.