Una volta si chiamava l’Imbrecciata del Petraio, questa stradina fatta di scale, stretta e colorata, che ritaglia come un quadro una porzione di cielo su cui si stagliano il Vesuvio, i paesini alle sue pendici, la Penisola Sorrentina.
Quel pavimento fatto di vrecce, cioè di ciottoli, si articola in una lunga serie di gradoni che mettono in collegamento la parte alta della città, il Vomero, con la parte bassa, il Corso Vittorio Emanuele. Da su Napoli attraverso l’Imbrecciata del Petraio si arriva giù Napoli, come dice la gente del posto, fino all’altezza dei gradoni di Santa Maria Apparente.
Ma questo anticamente era anche il quartiere delle Lavannare. Le donne a Santa Maria Apparente lavavano i panni a mano nei lavatoi, raccogliendo l’acqua nelle fontanelle, e ispirarono una delle più vecchie canzoni napoletane: «Il canto delle lavandaie del Vomero». Napoli è tutta così: scale, gradinate, salite, discese, palazzi che spuntano su altre strade. È la città verticale, come canta Edoardo Bennato.
Le scale del Petraio non sono segnalate, bisogna conoscerle, oppure cercarle tra le stradine di San Martino, alle spalle della funicolare di via Morghen. Sarà forse questa segretezza che le pone al riparo dal caos, dai clacson, dalla grigia uniformità della globalizzazione.
Il Petraio è una esplosione di vita e di colori. Qui i balconcini profumano di fiori freschi, i palazzetti bassi in stile Liberty accendono il paesaggio di rosso, di ocra, di giallo, del marrone dei mattoni. Le lenzuola messe ad asciugare al sole sprigionano nell’aria l’inconfondibile profumo del bucato fresco di lavaggio. Il Mediterraneo lo si respira nell’odore intenso degli alberi di limone lungo le gradinate.
Il nome Petraio deriva dalla parola “petraro”, perché questo luogo acclive abbondava di ciottoli e altro pietrame e aveva quindi una natura estremamente sassosa, come scrisse Raffaele D’Ambra in un vocabolario napoletano-toscano nel 1873.
È un luogo pieno di luce, il borgo del Petraio. Così bello che nei secoli scorsi veniva considerato come un luogo di villeggiatura e molti artisti lo scelsero come buen retiro o come posto in cui ritrovare pace e relax.
Il pittore svizzero Paul Klee, per esempio, come racconta Vittorio del Tufo nel libro “Trentaremi”, trascorse al Petraio la Pasqua del 1902 e ne rimase folgorato. «Napoli ha il più grande splendore accanto alla più grande miseria. Vita del porto, corso di carrozze, teatro dell’opera di alto livello. A ciò la natura paradisiaca, impareggiabile… una placida insenatura, inquadrata da strane montagne e chiusa da isole caratteristiche. E questo posso vederlo dal poggiolo della mia camera. Giace ai miei piedi, come un gigantesco anfiteatro, la città meravigliosa con il suo brusio».
È una fuga dalla città restando in città il borgo del Petraio, con il suo vociare lento e quella dimensione umana e intima che si ritrova solo nei piccoli paesi.