«Sono l’ottavo di tredici figli. Tutti nati qui, in una stanza tra i limoneti di Amalfi». Luigi Aceto comincia così a raccontare la sua storia.
Una t-shirt grigia, jeans scuri, scarponi da contadino e un cinturone di cuoio, dove ripone le sue forbici per la potatura e la raccolta dei limoni. Luigi ha ottantasei anni. Ne dimostra almeno venti di meno. Ancora oggi porta avanti, assieme al figlio Salvatore, l’attività agricola di famiglia inaugurata nel 1825, quando l’avo – anch’egli di nome Salvatore – rilevò questi terrazzamenti a picco sul mare. Siamo a pochi metri dalla piazza principale e dal porticciolo, a due passi dalle stradine e dai vicoletti della Amalfi più turistica. Eppure, qui, la dimensione rurale dei paesini della Costiera si respira come il profumo di uno sfusato appena raccolto.
È Luigi stesso ad arrampicarsi, a “volare”, tra questi pali di castagno che fanno da sostegno al limoneto. Un tetto naturale che lascia penetrare la giusta quantità di sole, quella che serve affinché l’agrume cresca rigoglioso. Luigi resta in equilibrio su questi pali sottili, stringe le mani nodose sui legni, raggiunge il limone e – con un gesto netto e metodico – lo stacca dai rami. Gli anni che passano sembrano non fiaccare in alcun modo le sue energie: appaiono come niente, in confronto a una tradizione quasi bicentenaria.
«Io quando sono tra i miei limoni mi sento qualcuno – mi dice Luigi, con un tono di voce che tradisce l’emozione – mi sento bene; ho sempre voluto fare questo, fin da quando ero piccolo. Ricordo che da bambino raccoglievo i limoni da terra, quelli che cadevano dai rami. E già all’epoca non vedevo l’ora che mi dessero il permesso di salire sui pali di castagno, arrampicarmi fino a sopra, prendere il limone direttamente dalla pianta».
Una vita dedicata alla più grande tradizione agricola della Costiera Amalfitana: «Il limone richiede il lavoro di un anno intero. La potatura invernale della pianta; la copertura per proteggerla dalle piogge e dal gelo; la scopertura estiva; la concimazione e l’innaffiatura; la raccolta. Non è che si fa tutto in pochi attimi, il ciclo vitale della pianta va seguito giorno per giorno».
A vederli dal mare, questi terrazzamenti delineano tutto il profilo dell’entroterra Costiero. Quello dove l’agricoltura viene definita “eroica” perché svolta su terreni non facili, a picco su dirupi scoscesi e rocciosi, dove la pianta stessa necessità di attenzioni continue e capillari per produrre frutti di buona qualità.
«In tutto il territorio della Costiera Amalfitana – ci dice Salvatore, figlio di Luigi e attuale titolare dell’azienda agricola – gli ettari coltivati a limoneto sono circa 400, per un totale di 100mila tonnellate di prodotto raccolte ogni anno. Numeri non enormi, se consideriamo la richiesta proveniente sia dall’Italia che dall’estero. Ma stare qui significa anche questo: preservare la tradizione e la biodiversità, quello che la nostra famiglia fa da quasi due secoli, per far sì che il limone amalfitano esista anche fra altri duecento anni».
Luigi accarezza una foglia verde, porta le mani al naso e ne sente i profumi. Poi si appoggia su uno dei muretti a secco, dispone due cestini, uno in vimini – vuoto – l’altro in plastica gialla, pieno di limoni. Trasferisce il contenuto da un cestino all’altro, mentre con le mani sembra voler saggiare il peso e la qualità dell’agrume.
I cestini in vimini sono parecchi, noto a una seconda occhiata. In breve tempo vengono riempiti per poi essere portati in azienda, mentre Luigi riprende in mano forbici, falcetto e cestino giallo, pronto a saltare di nuovo sulle coperture in castagno. «Di questa delizia non si butta via niente – dice sorridendo, mentre si arrampica – con la buccia ci fai il limoncello, con l’albedo le insalate. Provane a mangiarne uno crudo. E fammi sapere com’è».