Immaginate di arrivare davanti a uno specchio d'acqua che sembra un fiume dal colore verde, con le coste frastagliate e una serie di fiordi dall'aspetto nordico. Immaginate di passare da una sponda all'altra attraverso ponti costruiti ad hoc, soprattutto a fine giornata d'estate, con le sfumature del crepuscolo.
Immaginate di camminare attraverso boschi di querce e castagni. Immaginate di sedervi sulla riva di una spiaggetta, per ascoltare il silenzio. Immaginate che tra i fiordi sorgano borghi dall'aria antica, con le piazzette di pietra, i campanili e le brevi strade panoramiche.
Un posto così nel Lazio esiste davvero e si trova in provincia di Rieti. Non è un fiume, ma un lago, quello del Salto, il più grande bacino artificiale della regione, nato nel 1940 dallo sbarramento del corso d'acqua omonimo.
Ha una storia travagliata il lago del Salto, perché i lavori che furono fatti per costruire la diga comportarono un cambiamento radicale del paesaggio, per il quale pagarono con la vita in tantissimi. Taglieto, Fiumata, Sant’Ippolito, Borgo San Pietro: tutti i borghi che sorgevano nella valle furono spazzati via a causa dell'inondazione e poi ricostruiti sulle sponde del lago, in seguito all'innalzamento di quella diga di 90 metri, all'epoca la più grande d'Italia. Un piccolo mondo sommerso che non si può fare a meno di immaginare.
Per qualcuno la Valle del Salto è la “Svizzera d’Italia”, qualcun altro l'ha raccontata come la possibile Atlantide. Al di là delle definizioni che spesso scadono nella banalità, le suggestioni di questo luogo sono così forti, che Gabriele Salvatores nel 2013 decise di girare proprio tra i fiordi del lago una parte del film “L’Educazione Siberiana”, dal romanzo di Nicolai Lilin.