Dal centro del “cannocchiale”, il lungo viale che taglia in due la pianta della Reggia di Caserta, lo sguardo corre verso il verde del Parco, che da qui pare un tutt’uno di vegetazione e acqua.
La cascata sembra vicina perché il cannocchiale è frutto di una calcolata prospettiva, ma in realtà bisogna camminare per 3 km prima di ottenere la ricompensa: una immersione totale nella natura, nei suoi colori, nel suo silenzio. Si chiama via dell’acqua perché l’acqua è l’elemento che anima l’intero percorso tra specchi, cascatelle, sei scenografiche fontane, in un gioco di scorci suggestivi.
Quello del parco è un progetto che nasce contemporaneamente alla reggia, con lo stesso architetto, Luigi Vanvitelli, e con la stessa voglia di stupire e di eguagliare le più prestigiose residenze europee. Anche un altro cantiere prende il via negli stessi anni, l’Acquedotto Carolino, un’imponente opera ingegneristica che dalle pendici del Monte Taburno, percorrendo quaranta chilometri, doveva alimentare le fontane della reggia e portare acqua nell’opificio di San Leucio, il luogo della manifattura della seta a pochi chilometri da Caserta. Ma tutto questo sforzo svanisce come per incanto quando si è davanti alla cascata grande: il fragore dell’acqua fa credere che in cima ci sia una fonte e che si tratti di un miracolo della natura e non dell’idraulica. E la cascata non è l’unica sorpresa.
«Nunc tibi me posito visam velamine narres, sit poteris narrare, licet!»
«Ed ora racconta d'avermi vista senza veli, se sei in grado di farlo!»Ovidio - Le Metamorfosi
L’acqua cade incessante in una vasca circondata da rocce e popolata da numerose statue, divise in due gruppi. Sulla destra ci sono delle donne, dall’aria incredula, tutte eccetto una che è al centro e cerca di coprirsi come può. A differenza delle altre, ha lo sguardo fiero e risoluto e con la mano che indica qualcosa, o forse qualcuno. Dal lato opposto c’è un uomo, in fuga probabilmente, circondato da cani che lo assaltano. A ben guardare questo personaggio ha qualcosa di strano, il suo corpo è umano, ha anche un arco, una faretra con delle frecce, ma la testa è di animale, un cervo. Si tratta di Atteone, un abilissimo cacciatore che purtroppo ha commesso un errore: i suoi occhi indiscreti si sono posati sul corpo di Diana, mentre era al bagno in compagnia delle ninfe.
La dea della verginità e della purezza non poteva lasciare impunito lo sfrontato Atteone e così lo trasforma in un cervo. La sua innocenza è salva, il cacciatore non potrà raccontare ciò che ha visto perché di lì a poco sarà sbranato dai suoi cani.
«Actaeon ego sum: dominum cognoscite vestrum!»
«Sono Attèone: non riconoscete più il vostro padrone!»Ovidio - Le Metamorfosi
La dea della caccia e delle selve non poteva certo mancare tra le divinità presenti nel Parco dove natura, mito e arte si fondono. Le statue di questi due gruppi, realizzate dagli scultori Paolo Persico, Tommaso Solari e Angelo Brunelli, mettono in scena il mito raccontato da Ovidio sotto lo sguardo dei visitatore: la fitta vegetazione fa da quinta, l’acqua che separa i due protagonisti partecipa al racconto, facendo dimenticare che sia tutta una finzione.