Un solco di storia lungo venticinque anni. Tanto regnò su Napoli Carlo di Borbone, privo di numerazione reale perché volle fin da subito rimarcare la differenza del suo Regno rispetto a coloro che lo avevano preceduto. Primi fra tutti: gli Asburgo.
Dei centoventisei anni di dinastia borbonica – dal 1735 al 1861, a parte la breve parentesi Napoleonica – il mezzo cinquantennio di Carlo è ancora oggi quello più denso di giudizi positivi e nostalgie. I primi non sono esclusiva emanazione delle associazioni che si rifanno all’emblema del “neoborbonismo”, ma coinvolgono anche storici e studiosi. Importanti, in tal senso, gli scritti di Giuseppe Galasso, che parla di “ora più bella” per il Regno di Napoli da quando Carlo si insediò sul trono.
“Muovi verso le Sicilie, le quali alzate a governo libero, saran tue, va’ dunque e vinci, la più bella corona d’Italia t’attende”Elisabetta Farnese – Lettera al futuro re Carlo
D’altra parte fu proprio con lui che Napoli tornò a essere Capitale di un Regno, dopo le traversie austriache e i decenni da vicereame spagnolo. La vita culturale tornò a fiorire: l’Illuminismo napoletano, assieme a quello milanese, è tutt’ora considerato come una delle pietre fondanti del pensiero contemporaneo. Ogni aspetto della vita sociale ne fu interessato, dall’economia alla vita politica, aprendosi alla conoscenza delle idee che provenivano dalla Francia, dall’Inghilterra, dall’Olanda su liberismo, mercantilismo, sulla volontà di sovvertire una società basata su vecchi vincoli di casta. Era forse la prima volta, come scrive la Treccani, “che il Meridione ebbe il peso e il privilegio di chi comincia a camminare dinanzi agli altri”.
Il segno culturale di una Napoli che voleva ridiventare centro e perno della politica internazionale, si nota anche nelle meraviglie architettoniche. Tre nomi su tutti: Reggia di Caserta, Reggia di Capodimonte e Real Teatro di San Carlo. Ogni singolo intervento non fu predisposto a caso. Lo stile monumentale, la realizzazione dei giardini, i luoghi dove godere dell’opera lirica, allineavano Napoli alle altre Capitali europee nello stile urbano e nella vita mondana.
D’altra parte non è un caso che proprio in questi anni la città diventi una delle mete privilegiate del Grand Tour, quando i ricchi e colti rappresentanti dell’aristocrazia europea, da Goethe a Stendhal, iniziarono a conoscere le meraviglie dell’arte e della cultura italiane viaggiando lungo la Penisola. Napoli diventò una tappa irrinunciabile anche per via di una delle scoperte che avrebbero impresso il loro segno nella vita culturale dei secoli a venire: quella dell’antica Pompei, travolta dall’eruzione del 79 dopo Cristo, i cui primi scavi risalgono al 1748.
L’intenzione di Carlo era quella di restituire, alla monarchia, una funzione di guida più che di privilegio “autocratico” sui sudditi. Un esempio su tutti? L’istituzione del catasto. Quello che sembra un mero intervento burocratico assume contorni quasi rivoluzionari in un contesto sociale minato dai privilegi di censo, dalla mancanza di strade e comunicazioni, di scuole elementari dove i contadini potessero alfabetizzarsi un minimo.
Il catasto onciario di Carlo di Borbone, infatti, mirava a eliminare i privilegi goduti fino ad allora dalle classi più ricche dei Regno, a scapito dei più umili, su cui in genere gravavano tasse e tributi. Come? Censendo rigorosamente i patrimoni immobiliari, da bestiame e finanziari presenti nel Regno e calcolando le imposte su varie categorie di abitanti. Una riforma certo complessa nell’esecuzione ma “semplice” nel principio, frutto della mente del consigliere Bernardo Tanucci, che nessuno fino ad allora si era preso la briga di attuare.
La prima metà del Settecento, a Napoli, fu quindi un periodo vivo e denso, che tutto poteva definirsi tranne che immobile. Un arco storico che ancora oggi è evidente in città, dagli edifici alle chiese, passando per le residenze reali e il patrimonio archeologico. Sì, perché Carlo di Borbone – tra gli altri titoli – deteneva anche quello di Duca di Parma e Piacenza perché figlio di Elisabetta Farnese, proprietaria dell’omonima e sontuosa collezione oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.