Due amidi, messi assieme, devono per forza fare a pugni? Nelle scuole di cucina si insegna, di sovente, che è un errore far sposare due ingredienti che ne siano portatori in grossa quantità: troppi carboidrati complessi da smaltire.
Tradizione ci insegna che le eccezioni sono sempre dietro l’angolo. Soprattutto se, in tempi passati, bisognava pensare a nutrirsi senza troppi fronzoli, non rinunciando però a qualcosa di buono per il palato.
La pasta e patate è un piatto ormai diffuso in tutta Italia, ma nato sicuramente tra i vicoli e i fondaci di Napoli. A darne prima testimonianza storica è Vincenzo Corrado nel suo “Cuoco Galante” del 1773. La ricetta si era però diffusa nelle case napoletane almeno un secolo prima, nel ‘600, quando si scoprì che quello strano tubero importato dall’America – la patata – era perfetto da coltivarsi anche col clima mite e soleggiato del Sud Italia.
“Sono successi buoni incontri a forza di andare oltremare: la patata d’America ha trovato l’olio d’olive e il pomodoro è finito sul grano”Erri De Luca
Si parte, come di consueto nella cucina napoletana, da una base di soffritto: olio, cipolla, sedano e carote, e poi le patate pelate, lavate e tagliate a tocchetti, con un mestolo o due di acqua. Un trucco del mestiere, ben noto nelle case dove la ricetta è nata, è quello di utilizzare patate gialle, dalla polpa compatta e poco farinosa, perfette per la lessatura.
Ed ecco il colpo di genio! L’intuizione che trasforma un piatto popolare, già di per sé gustoso, in una delizia per palati esigenti: la provola. L’introduzione del latticino è relativamente recente, dato che né la tradizione Seicentesca, né la ricetta tramandata dal Corrado, ne prevedevano l’aggiunta; che avviene, solitamente, a fine cottura. Si taglia la provola a cubetti e la si lascia sciogliere nel composto di patate e pasta, di modo che raggiunga una consistenza filante e cremosa. Dopodiché una spolverata di Parmigiano, e il piatto è servito.
Col tempo, la provola – da audace sperimentazione – è diventata solida tradizione. Non esiste napoletano il cui pensiero non vada, a sentir parlare di pasta e patate, al gustoso latticino prodotto sui Monti Lattari, verso la Penisola Sorrentina.
Allo stesso tempo, c’è chi osa un ulteriore scatto in avanti: spolverare la superficie del piatto con un po’ di pangrattato e far gratinare per pochi minuti in forno, di modo da ottenere una consistenza quasi croccante alla superficie.
Di varianti sull’originale ce ne sono tante, a partire da due scuole di pensiero differenti: chi la vuole un po’ più brodosa, quasi come fosse una minestra; chi, invece, predilige la cosiddetta versione “azzeccata” e cremosa, in cui la provola è protagonista.
E la pasta? Anche qui vince il concetto di cucina di recupero. La pasta mista è pressoché d’obbligo, in quanto riprende l’antico concetto per il quale il cibo non si butta mai. I napoletani erano infatti soliti raccogliere i rimasugli della pasta rimasta in dispensa, senza badare troppo a tempi di cottura e formati, e mescolarla (“mischiarla”, in dialetto) alle patate. Il trionfo della cucina di recupero, che si trasforma in un piatto ancora oggi amato da ogni buona forchetta.