I pastori si svegliano presto. Tanto presto che è persino difficile definirla "mattina". Alle 2 di notte sono già in viaggio: scendono a piedi lungo le pendici dei Monti Lattari e si avviano verso Napoli.
Arrivano in città di buon mattino, col loro carico di formaggi pronti per essere venduti ai mercati rionali. Gli scugnizzi del porto, perennemente in strada anche a quell'ora del giorno, li avvistano da lontano, con le loro mantelle che avvolgono spalle e testa per proteggersi dall'umidità notturna. «'O Monaco, sta arrivann' 'o Monaco», è il grido con cui li accolgono.
Foste vissuti circa tre secoli fa, tra la Penisola Sorrentina e Napoli, avreste potuto assistere a questa scena. La stessa che ci spiega come mai il formaggio più famoso (e gustoso) dei Monti Lattari si chiami Provolone del Monaco. Storia o leggenda che sia, questo prodotto caseario è davvero l’eccellenza più grande di questo lembo di terra che, da Vico Equense e Agerola, guarda verso il mare.
Basta farsi un giro nella storica azienda Fernando De Gennaro, tra le pochissime che oggi possono vantare un'attività che dura da fine Settecento (con tanto di museo sotterraneo del Provolone a temperatura controllata) per capire quanta storia ci sia dietro questo formaggio a pasta semidura.
Incontriamo Tommaso De Gennaro, discendente della storica famiglia proprietaria. Il suo lavoro inizia di mattina presto. Non così come accadeva ai suoi antenati, magari; ma abbastanza da sentire sotto le dita il calore dell’acqua già poco dopo l’alba.
«Per ottenere una buon Provolone del Monaco si mescola il latte crudo al caglio di capretto, per poi lavorare il composto in acqua a una temperatura di 80 gradi», spiega infatti Tommaso, mentre le sue dita diventano già rosse per il contatto col calore. Pare impossibile vedere una tale disinvoltura manuale in una persona che immerge, tutti i giorni, le sue mani in un’acqua che è prossima alla sua temperatura di ebollizione.
«Dopo la cagliatura, andiamo avanti con la filatura e la strizzatura: il formaggio viene letteralmente allungato da due persone poste alle sue estremità. Dopodiché viene strizzato, proprio come si faceva anticamente con il bucato. L’obiettivo è quello di fare uscire più acqua possibile dalla cagliata, altrimenti otterremo un prodotto “moscio”, senza nerbo».
Il composto “filante” viene poi riavvolto, quasi a formare un pallone. È a questo punto che il tutto viene lavorato per essere inserito all'interno degli “stampi” che daranno la classica forma a melone leggermente allungato. Il disciplinare di produzione della Dop, cui il Provolone del Monaco è inserito, prevede che la stagionatura non possa essere inferiore ai sei mesi.
«In genere si preferisce, però, non farlo stagionare troppo – precisa Tommaso – altrimenti diventerebbe troppo piccante». Il gusto ideale è quel perfetto equilibrio tra sapidità e dolcezza che questo piccolo miracolo caseario dei Monti Lattari ha saputo raggiungere nel tempo.
Un percorso, quello di questa varietà di Provolone, che comincia già da ben prima della sua realizzazione: «Per dirsi vero Provolone del Monaco Dop il disciplinare prevede persino che tipo di alimentazione debba seguire la Vacca Agerolese, dal cui latte deriva questo formaggio. Una dieta composta per lo più dalle erbe aromatiche che crescono qui sui Monti Lattari. Un processo difficile e non alla portata di tutti: non è un caso che solo pochissime aziende possano fregiarsi del marchio Dop, parliamo di una decina in tutto».
L’ultimo passaggio è quello delle ricette. Sì: perché il Provolone del Monaco è delizioso così, mangiato semplicemente a pezzetti, ma anche come ingrediente di alcune ricette tradizionali campane. Due su tutte: la pasta e patate, cui il Provolone dona sapidità e quella tipica nota filante; e gli spaghetti alla Nerano, delizia nata nell'omonima frazione di Massa Lubrense, dove il formaggio viene aggiunto in mantecatura assieme alle zucchine.