Le casette di tufo grigio, incastonate l’una sull’altra come in un presepe. Le finestre piccole, affacciate senza simmetria sul torrente Martorano, uno degli affluenti del fiume Isclero.
Le siepi rigogliose e verdeggianti della valle, agitate dal vento di fine agosto, che si muovono come in una danza e si arrampicano fino al primo piano delle case. Le cupole di tre chiese che svettano tra i tetti rivendicando la loro sacralità.
È la fotografia più famosa di Sant’Agata de’ Goti, la perla del Sannio. Gli archi nella roccia di tufo, formatasi più di 30.000 anni fa a causa di un’eruzione vulcanica, stanno lì a ricordare che i Romani passarono di qui e vi fondarono il Castrum, la cittadella dove risiedevano i veterani impegnati nelle battaglie dell’Impero. Solo dopo, nel 42 a.C., questo luogo ameno sulle falde del Monte Taburno divenne una colonia dell’Imperatore Ottaviano Augusto. E così il nome, Sant’Agata de’ Goti, ha origini antichissime e riflette il cammino di questo luogo nella storia: il Medioevo, l’epoca normanna, quella longobarda.
Gli storici hanno ricostruito che in origine il paese corrispondeva all’antica città caudina di Saticula, perché delle necropoli sannitiche sono state ritrovate in tutta la zona bagnata dal fiume Isclero. Di Saticula si trovano tracce in Tito Livio e nell’Eneide di Virgilio. Fu poi il normanno Bertrand De Goth a chiamarla Sant’Agata de’ Goti, quando nel Trecento divenne signore del feudo “De Gotì”, su concessione di Roberto d’Angiò.
Quando la fotografia della rocca di tufo appare dal vivo sulla sinistra, per chi venendo dall’autostrada si trova a passeggiare sul ponte sul Martorano, si comprende perché questo paesino ventoso dal 2012 faccia parte del circuito dei borghi più belli d’Italia. Una passeggiata in centro, con la classica forma a semicerchio, è un salto nel Medioevo.
Su una via Roma lastricata di bianco i negozi a fine agosto sono ancora chiusi, le poche persone che si trovano per strada hanno l’aria rilassata e si godono la brezza dell’Isclero che addolcisce la calura estiva. I portici offrono un rifugio dal sole. Le stradine laterali sono a misura d’uomo e le piazzette, come quella dedicata a Umberto I, sono adornate con profumati alberi di agrumi.
Il cinema del paese porta ancora la scritta antica incisa sul muro. Molte case hanno porte di vetro e tende bianchissime ricamate a mano, a proteggere la vita domestica da occhi curiosi. Il traffico è un ricordo lontano e così la città, con le sue ansie e le sue aspettative. Il ritmo lento che il borgo ispira si riflette negli occhi dei bambini che giocano a pallone per strada come se stessero nel giardinetto di casa. Liberi, lontani dallo sguardo apprensivo dei genitori, fermano il pallone e salutano ogni volta che passa qualcuno.
Ma non è solo un luogo di suggestioni, Sant’Agata de’ Goti, perché qui c’è anche la storia. Il Palazzo Vescovile, la chiesa di San Menna, il Duomo. E poi c’è la natura, perché il paese fa parte del Parco Regionale Taburno-Camposauro, che esiste come area naturale protetta dal 1993. E infine la viticoltura, perché per la Falanghina e per l’Aglianico, Sant’Agata de’ Goti da qualche anno è entrata a far parte dell’Associazione nazionale Città del Vino.