Numero
18

La raffinata dimora di un antico romano

La raffinata dimora di un antico romano La raffinata dimora di un antico romano

Le iscrizioni elettorali rinvenute negli scavi di Pompei mostrano quanto fermento ci fosse nella vita politica cittadina. Tra i personaggi interessati alla res publica vi era Marco Lucrezio Frontone, che aveva intrapreso una brillante carriera candidandosi alle maggiori cariche come edile e duoviro.

Probabile parente del filosofo Tito Lucrezio Caro, Frontone era esponente di una delle famiglie più in vista della civitas, qui giunta in età augustea. E che il suo ruolo a Pompei fosse di primo piano si evince anche dai ritrovamenti di quattro manifesti elettorali dipinti sul muro d'ingresso della sua abitazione. Uno di questi lo definiva “vir fortis et honestus” (“uomo forte e onesto”).

La casa si trova nella Regio V, una zona fuori dai grandi flussi turistici del sito archeologico. Un pezzetto di città nascosto, distante dalle strade su cui si affacciano celebri villoni e residenze mozzafiato. In effetti, dall'esterno quello di Frontone non sembra essere un edificio indimenticabile. Ma in realtà dietro una semplice facciata si apre una delle più eleganti domus pompeiane.

Le stanze sono adornate da stupendi affreschi dai colori carichi e i dettagli ben visibili. Si è circondati da decorazioni sublimi, tra i migliori esempi in assoluto di pittura di Terzo Stile, realizzate con tinte che vanno dal nero al rosso, fino a un intenso giallo ocra. Amorini volanti si alternano a storie mitologiche, mentre sulle pareti attorno al giardino sono disegnate scene di caccia tra belve ed animali domestici.

Sono tanti i rimandi letterari tesi a sottolineare l'alto livello intellettuale del proprietario. Frontone non è un banchiere come Lucio Cecilio Giocondo né un arricchito come i Vettii, ma un patrizio distinto e virtuoso. E ci tiene ad evidenziarlo in ogni angolo dei 460 metri quadri del suo appartamento. Non importa se è “solo” un politico di provincia. Nell'impero ognuno fa parte di un ingranaggio ben oleato e se l'individuo unisce il buon gusto alla sobrietà allora la sua cultura è più elevata di tanti eccentrici senatori dell'Urbe.

La raffinatezza della dimora si percepisce accedendo nell'atrio dove al centro vi è la vasca in marmo dell'impluvio bordata da un mosaico con tessere bianche e nere, mentre il resto dell'ambiente è pavimentato in lavapesta con scaglie di marmi colorati. Affianco alla vasca vi è un tavolo marmoreo con zampe di leone sul quale venivano poggiate le suppellettili più pregiate.

L'atrio presenta stanze su ogni lato, dove spicca il tablino, un ambiente adibito al ricevimento. Qui gli ospiti si incantavano davanti alle preziose lavorazioni parietali su fondo nero: a quadretti con immaginarie ville marittime sostenuti da candelabri si affiancano gli affreschi principali raffiguranti il “trionfo di Bacco e Arianna” e gli “amori di Venere e Marte”, che ritrae quest'ultimo mollemente chino sulla dea mentre le accarezza un seno al cospetto di Cupido. Un atteggiamento sensuale ma delicato, lontano da altre rappresentazioni ben più audaci rinvenute nelle case pompeiane.

Tutta questa bellezza ha convissuto per millenni con una macabra presenza: gli scheletri di cinque adulti e tre bambini schiacciati dal crollo del tetto durante l'eruzione. Sette vittime che cercarono inutilmente scampo in un luogo ritenuto erroneamente il più sicuro facendosi coraggio l'un l'altro. La sintesi di Pompei, dove i luminosi ricordi di una vita gloriosa vengono cristallizzati insieme a quell'indecifrabile terrore di una fine inevitabile.