Un auditorium bellissimo si nasconde tra i piccoli Monti Ceriti. Non è opera di Renzo Piano né di Santiago Calatrava, ma quella di architetti più schivi che ci hanno lavorato per qualche millennio. Caso più unico che raro, gli ingegneri e gli operai di questa sala da concerti ne sono anche i musicisti. E la loro musica è bellissima.
Per sentire il concerto del sentiero delle cascate, bisogna partire dal silenzio più totale. Un cimitero segna l’inizio del percorso. Non il pomposo cimitero etrusco della Banditaccia, patrimonio dell’Unesco, no: questo è umile, moderno e discreto, come sono i cimiteri di paese. Quando ci si avvicina si sentono gli alberi accordare le loro foglie. All’ingresso dei boschi, le luci si spengono. Cerveteri è ormai lontana. L’ingresso leggero del vento, maestro d’orchestra, è applaudito con riverenza. Ma l’ovazione è dedicata al solista: il fiume Vaccina.
A lui potrebbero essersi ispirati Horowitz per il virtuosismo, Bernstein per l’irregolarità, Chopin per la dolcezza. Ma forse la più grande qualità del Vaccina è il ritmo: si allontana e si riavvicina, si nasconde e poi ti bagna all’improvviso, dalla testa ai piedi. Il suo concerto va in crescendo, come fosse il Bolero di Ravel. Si comincia con un adagio, camminando a piedi tra campi verdissimi ed edifici abbandonati, tra il frullo delle libellule e il frinire dei grilli. Ecco il primo tema della serata: la cascata. Quella del Moro è altissima ma non imponente, anzi, leggera.
L’acqua batte sulla roccia seguendo le indicazioni del direttore d’orchestra. Dopo l’intermezzo delle ferriere papali, il tema della cascata viene rivisitato più volte. Alla Cascata dell’Arenile diventa un vivace con moto, a quella dell’Ospedaletto è un allegro. La Cascata del Braccio di mare è un lento che apre al secondo tema, il lago. Ora si percorre il sentiero ripido del bosco, il climax ascendente e tenebroso, tra i fruscii dei ramarri e le curve sinuose della montagna. Gli strumenti aumentano piano piano il volume, il vento si fa forte e finalmente un suono di piatti introduce l’ultimo pezzo, il gran finale, la Cascata di San Giuliano.
Il vento soffia all’impazzata coordinando le foglie, i rami, i ciottoli, le cicale, le lucertole, i girini e i bruchi. Sotto la direzione del maestro, i due temi si incrociano e si scambiano. Il Vaccina si lascia andare a un assolo incredibile, sembra quasi un’improvvisazione jazz per come le sue gocce volano e scorrono. È un tripudio di armonizzazioni, di scale, di tonalità.
Finito il percorso, rimane solo il rumore dei nostri passi. Era solo immaginazione, o quei suoni esistevano davvero? Chissà, forse vale la pena tornare, magari le cinque cascate stanno preparando l’encore.