Numero
03

La sorgente delle meraviglie

La sorgente delle meraviglie La sorgente delle meraviglie

Il sentiero ciottoloso all’ombra di faggi e castagni è così ripido da assomigliare al letto di un fiume asciutto. Consumato dal tempo, i pastori lo percorrevano già nell’età del bronzo.

Il nibbio reale, con la sua inconfondibile coda biforcuta e le ali lunghe, fa una fugace apparizione prima di dileguarsi dietro l’ultracentenario ponte di cemento che collega Sacco a Roscigno. La corteccia di un faggio brilla in un punto preciso con lo stesso effetto del sole che si riflette sul mare: è la lucertola che sta facendo la muta, mimetizzandosi tra il verde e il marrone degli alberi. Un agile atleta, verde come una mela acerba, salta tra la spalla e il braccio oscillando come un ramoscello nel vento: è l’insetto stecco, in vena di fare amicizia. La farfalla macaone sceglie la delicata mano di una bambina per mettere in mostra tutta la propria regale eleganza.

Siamo alle Gole del Sammaro, nel Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, un nome che nella sua lunghezza contiene già tutta la varietà naturalistica di questa terra. Sconosciuto al turismo di massa anche per la difficoltà dei collegamenti, questo angolo di paradiso è frequentato soprattutto dalla gente dei paesi vicini: Sacco, Roscigno, Bellosguardo. Persone che vanno al Sammaro come chi vive in una città di mare va in spiaggia.

Un escursionista qui si sente come un giovane avventuriero protagonista di un cartone animato, che munito di zaino, cappellino, scarponi e lenze, si accinge ad affrontare le sfide della natura selvaggia. Dopo venti minuti di passi lenti, il richiamo dell’odore del pruno selvatico, simile a quello del miele, è così forte che non si può non fermarsi per raccogliere un frutto, assaggiarlo, respirarne l’intenso profumo.

Qualche metro più avanti un ponticello di legno ci catapulta nel mondo della fantasia. Il rumore dell’acqua del fiume è sempre più forte, ma non riesce a mascherare quello che proviene dai cespugli. Sulla sponda sinistra, proprio di fronte ai resti di un mulino di pietra, tra gli arbusti qualcosa si muove di continuo. Dopo un po’ spunta il musetto di un piccolissimo cinghiale che la mamma ha nascosto tra le selve per nutrirlo e proteggerlo.

Intanto il merlo acquaiolo, da buon intenditore di torrenti limpidi, si appoggia fugacemente sull’acqua per poi confondersi tra le mille sfumature di questa terra, particolare anche per la sua conformazione. Bianca, levigata, liscia al punto che bisogna fare attenzione a non scivolare, soprattutto quando si raggiunge la parte finale del sentiero, così suggestiva da far perdere l’equilibrio.

La Grotta Grande di Sacco o Grotta di Jacopo è una grande frattura nella roccia alle falde del Monte Motola, sotto l’abitato di Sacco Vecchia. La vegetazione mediterranea crea un tetto da cui filtra a fatica qualche raggio di sole. L’ombra gioca con il bianco della roccia e dona all’acqua un colore verde così particolare che sembra creato apposta su una tavolozza.

Superando la difficoltà di qualche pietra scivolosa, ci si può fermare all’interno della grotta, con la corrente del fiume che rimbomba, qualche raggio di sole che brilla sull’acqua e un infinito stupore per l’alone di mistero che ammanta questo luogo, che già le comunità pastorali del XV secolo avevano scelto di abitare.