Bastano cinquanta minuti di macchina da Roma per allontanarsi da tutto: dalle comunicazioni, dal traffico, dal comfort di navigatori e mappe elettroniche, dai pensieri.
Monteflavio, un piccolo borgo che conta poco più di mille abitanti nell’area metropolitana della capitale, ha questo di bello: una volta raggiunto, il telefono non prende più in quasi nessun punto del paese. E così internet. Siamo a 858 metri di altezza e l’aria è così fredda che ha il potere di congelare i pensieri. Il vento invece è così forte che se rimani fermo, ti sposta. Quindi non resta che camminare, anche a passo sostenuto.
E non potrebbe essere diversamente in un piccolo paese che sorge ai piedi della montagna più alta del Parco dei Monti Lucretili: il Monte Pellecchia, a 1369 metri di altezza. Eppure un tempo il freddo pungente di questo luogo aveva persino un valore economico.
Il sentiero che sale verso la cima infatti era un’antica via della neve: una carrareccia che congiungeva i luoghi di montagna con la via Salaria e quindi con Roma, permettendo che si praticasse una delle attività economiche più fiorenti dell’epoca per le popolazioni locali: la raccolta, la conservazione e il commercio della neve.
Furono in particolar modo le autorità papali che durante i secoli XVII e XVIII favorirono questi scambi, organizzando dei veri e propri bandi pubblici di gara per l’affidamento del commercio della neve. Quest’ultima veniva raccolta e ammassata nei pozzi, le cosiddette neviere, che erano dislocati lungo la dorsale fino alla cima, poi veniva posta sui carri e trasportata fino a Roma.
Si trattava di un commercio importante, ma legato alle condizioni climatiche e al progresso. Quando quest’ultimo è arrivato insieme alla tecnologia, la compravendita della neve ha smesso di esistere, il paesaggio è profondamente cambiato, ma il freddo è rimasto.
Lungo il sentiero che sale fino alla cima del Pellecchia da qualche anno vive un bosco di conifere fatto di cipressi e pino nero, il cui merito principale è stato quello di attrarre gli scoiattoli che hanno ripreso a popolare queste zone. I numerosi cavalli che pascolano liberi invece suggeriscono che i commerci di un tempo abbiano ceduto il passo a quelli legati alla pastorizia e alla silvicoltura.
E mentre il vento continua a soffiare, rendendo persino i faggi incerti nella loro postura, la camminata verso la vetta prosegue per quasi otto chilometri. Una lunga salita finale fa lentamente avvicinare la sommità, che come ogni impresa faticosa, ripaga del sudore con un panorama che spazia dal monte Terminillo alla cresta innevata del Gran Sasso.
Ed è la cima che spiega anche il significato del nome Pellecchia: dal latino Penniculus, piccola penna, questa montagna non è altro che un’altura scoscesa. Una vetta dove è stata posta una croce mentre tutto intorno c'è solamente cielo, spazio e montagne.