Nulla è più mutevole dell’insalata di rinforzo. In molte parti d'Italia, il nome di questa ricetta dirà poco o nulla. Ma in Campania, e soprattutto a Napoli, queste due parole sono automaticamente associate alla Vigilia di Natale.
Ma perché mutevole? Per la varietà che connota questa ricetta. La sera della Vigilia, accanto ai consueti piatti a base di pesce che costellano le nostre tavole, si sparge questo profumo di verdure, alici e aceto. Cavolfiore, olive verdi e nere, papaccelle (peperoni piccanti), capperi e sottoli vari completano il quadro. Siamo di fronte a uno dei contorni più gustosi della cucina tradizionale partenopea.
Un potpourri di ingredienti che vengono “rinforzati” di volta in volta a seconda degli avanzi lasciati durante le festività. Ecco spiegato il nome del piatto: se alla sera della Vigilia di Natale gli ingredienti sono quelli base appena elencati, pian piano il piatto si arricchisce di ulteriori componenti. Arrivando al pranzo del primo giorno dell'anno dove, magari, possiamo trovare persino quei pezzetti di capitone o baccalà fritto che non abbiamo avuto la forza di mangiare nei giorni precedenti.
“È la tradizionale insalata natalizia napoletana che una volta serviva a rinforzare lo scarso menu di magro della vigilia; oggi è un di più però un gradevole di più”Tratto da “Si cucine cumme vogli'i'...” di Isabella Quarantotti De Filippo
Nata come una sorta di “caponata natalizia”, per riprendere la terminologia adottata da Ippolito Cavalcanti nel suo trattato di “Cucina teorico-pratica” dell’Ottocento, questa ricetta è quindi frutto della fantasia popolare, unita a una certa dose di parsimonia. Il segreto della lunga conservazione dell’insalata di rinforzo è proprio il massiccio utilizzo dell’aceto, che fa sì che gli ingredienti non vadano a male dopo pochi giorni e riescano ad arrivare quasi del tutto intonsi alle feste che salutano il nuovo anno.
Per questo, oltre che per gli ingredienti utilizzati, l’insalata di rinforzo si àncora indissolubilmente alla tradizione contadina campana. Una concezione di vita dove i prodotti della terra godono di uno status quasi “sacro”, rendendo quasi mortale il peccato di buttarli via. C'è, inoltre, un motivo ancor più “pratico” perché l'insalata di rinforzo divenisse un contorno irrinunciabile dei giorni festivi.
Motivo che oggi, in un contesto sociale generalmente accomunato da un certo grado di benessere economico, potrebbe apparire sorprendente. E cioè che i contadini, soprattutto nell’Ottocento e nei primi del Novecento, non avevano certo di che scialare durante i giorni festivi. Il Natale non era fatto di tavole imbandite e pentoloni fumanti, ma dei prodotti della terra.
“...si può continuare ad aggiungere ai resti ora altri cavolfiori, ora altri sottaceti. Il pastrocchio che resta sul fondo costituisce una base saporita per i nuovi arrivi e l’aceto impedisce che l’insalata vada a male”Tratto da “Si cucine cumme vogli'i'...” di Isabella Quarantotti De Filippo
Ecco perché, e siamo alla seconda teoria sull'origine del nome, la definiamo “insalata di rinforzo”. Perché serviva, appunto, a “rinforzare” le cene e i pranzi delle numerose famiglie contadine che, altrimenti, avrebbero passato il Natale a pancia vuota.