Storia e leggende intorno al lago

Storia e leggende intorno al lago

Quando si lascia l’autostrada per raggiungere il lago Laceno, la passeggiata in auto verso Bagnoli Irpino è già una promessa di bellezza. Il silenzio fitto e pungente porta in un’altra dimensione, dove non c’è posto per il caos o per l’inquietudine.

La poiana immobile su un faggio spoglio, che scappa appena si prova a fotografarla ammonisce che qui, tra le montagne dell’Irpinia, è la natura che detta il ritmo e l’uomo non può fare altro che adattarsi. Il lago è una distesa di ghiaccio con sfumature autunnali. Il freddo ha creato un velo leggero e trasparente che riflette la luce del sole e accende i colori della vegetazione: tanto marrone e qualche spruzzo di verde che resiste strenuamente al freddo.

La neve e il ghiaccio rievocano le favole dell’infanzia. Hans e Gretel che scivolavano con i loro pattini di legno sui canali olandesi, liberi e felici. Qualche ragazza particolarmente coraggiosa affronta il freddo correndo con le maniche corte lungo il bordo del lago, scaldata dall’abbraccio delle montagne circostanti: il Terminio, il Cervialto, il Cervarolo, il Rajamagra.

Quante storie si annidano tra le valli e i sentieri nascosti dei monti del Lago Laceno. Ascoltarle dalla voce di Lorenzo Nicastro, mentre insieme camminiamo su un sentiero di neve soffice fino al Belvedere, è un’esperienza che accende la fantasia.

«A Bagnoli Irpino una volta c’era una pastorella di nome Tronola, dagli occhi di onice e il sorriso di ebano. Quando camminava, la guardavano gli uomini e le cose e tutti sembravano felici. Quando cantava, si mettevano ad ascoltarla pure gli usignoli e tutte le valli facevano in sordina l’eco e il coro. Un anno non cadde una goccia di pioggia e non nacque sulle montagne un filo d’erba. Il bestiame annaspava sul terreno e tutti erano sgomenti per lo spettro della miseria. Ma la pastorella andò sull’altopiano e si mise a camminare innanzi alle pecore. Allora avvenne un fatto meraviglioso. Appena passava sul terreno, sbucavano il trifoglio e la lupinella, ovunque guardasse, la terra si copriva di erba per il bestiame...».

Tra i più belli dell’Appennino meridionale, il paesaggio del Laceno, soprannominato l’Alpe della Campania, ha ispirato scrittori e poeti. Jacopo Sannazaro, che vi soggiornò per un breve periodo alla fine del 1400, Pier Paolo Pasolini.

E infine Giustino Fortunato che vi giunse a piedi e descrisse l’esperienza nella celebre opera dedicata alla traversata del Partenio: «In punto alle 9.00 eravamo su un Piano di Laceno, che misura un’area di quasi due miglia quadrate grografiche: magnifica prateria bislunga, dominata in fondo dal gran dosso boscoso del Cervialto, chiusa d’ogni parte da chine vestite di faggi secolari, e traversata dal rivolo perenne della tronola, che si raccoglie nell’angolo di libeccio e forma un lago ai piedi della ombrosissima Rajamagra. Un poggio affatto isolato s’erge a picco su le flave acque ricoperte di ninfee, e in cima ad esso biancheggia piacevolmente la Cappella del Salvatore, l’antico ricovero, secondo la pia leggenda, del monaco San Gugliemo da Vercelli».

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