Aroma di sfogliatella

Aroma di sfogliatella

Frati e suore, in fatto di conventi, hanno sempre avuto buon gusto. Fateci caso: i monasteri italiani sorgono quasi sempre in zone stupendamente panoramiche, si tratti di una distesa di ulivi o di una linea di costa a picco sul mare.

Il Monastero di Santa Rosa, a Conca dei Marini, non fa eccezione. Siamo nella cornice della Costiera Amalfitana, dove ogni sguardo verso il mare diventa un concentrato di bellezza. È qui che, nel 1600 circa, una suora particolarmente dedita ai piaceri della cucina, si inventò un piccolo dolce a base di ricotta e semolino. Un ripieno di frutta secca, un po’ di limoncello per dare aroma, chiusura della pastafrolla a forma di cappuccio di frate ed ecco a noi la prima versione della sfogliatella.

Se la provincia di Salerno può quindi fregiarsi della nascita, a Napoli si deve la sua rivisitazione e diffusione. Fu un oste, circa duecento anni dopo, a intraprendere quel cammino che porterà la sfogliatella nell’immaginario collettivo. Pasquale Pintauro, questo il suo nome, nel 1818 era proprietario di un’osteria, o meglio una cantina, nella via Toledo di Napoli, ancora oggi una delle strade principali della città. Attraverso metodi mai tramandati, riuscì a venire in possesso di questa ricetta, trasformandola da par suo: via la frutta secca, spazio ai canditi. In breve tempo, il dolce diventò così famoso che Pintauro trasformò la sua cantina in una pasticceria.

Quella che ancora oggi, quando percorrete via Toledo, è aperta al numero 275. Una piccola, piccolissima “puteca” (termine che a Napoli e provincia indica il negozio di alimentari) che sforna sfogliatelle in continuazione, ricce o frolle che siano, dalla sfoglia piegata che si apre a ventaglio o dalla pastafrolla liscia, con una copertura di zucchero a velo.

“Quanno vene 'a notte e ’o core se ne scenne, mangia 'na sfogliatella e 'o core se ne saglie!”
“Quando viene la notte e il cuore se ne fugge, mangia una sfogliatella e il cuore ritorna!”
Eduardo De Filippo

Non finisce qui. La sfogliatella, così come il suo “importatore”, divenne tanto famosa che Pintauro entrò persino in un detto popolare: “Se fruscia Pintauro d’’e sfugliatelle jute acito”, vale a dire: si vanta Pintauro per delle sfogliatelle venute male. “Se fruscia Pintauro”, insomma, era come dire: “Si vanta di essere come Pintauro”, quasi come se il nome stesso si trasformasse nell’indicazione di tutta una categoria.

«Ancora oggi la nostra sfogliatella segue i dettami dell’antica ricetta – dice l’omonimo discendente di Pasquale Pintauro che oggi gestisce, assieme ai fratelli, il locale – ricotta, semolino e canditi come ripieno, disco di pastafrolla mai troppo spesso, né troppo sottile, in modo da rendere la cottura al forno omogenea ed evitare bruciature».

Il sottile “crunch” che fuoriesce da un gustoso morso dato alla sfogliatella riccia richiama davvero tutti i sapori di un dolce che ha attraversato quattro secoli di Storia, lasciando inalterati gusto, sapori e genuinità. Qualche consiglio per abbinare la sfogliatella? Come già la nostra suora aveva intuito, un bel bicchierino di limoncello è l’ideale per accompagnare il sapore ricco e aromatico del dolce.

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