C’è un monumento che si erge come un faro sul Lungomare di Napoli. È visibile a tutti, ma non è visto quasi da nessuno. Sembra un antico relitto portato dal mare ed issato come un trofeo per sorvegliare la città.
È la Colonna Spezzata, un fusto di marmo che si affaccia sul mare all’altezza di piazza Vittoria. Ai suoi lati due rampe di scale in piperno scendono dolcemente su una piattaforma di pietra semicircolare. L’acqua rade questa piccola banchina, nascosta dalla spuma delle onde quando il mare è agitato spingendo l’odore della salsedine fin sulla strada dove giace la colonna.
Una volta il moletto veniva sfruttato dai pescatori per cucire le loro reti. Oggi, invece, diversi appassionati vi sostano con canne a mulinello alla ricerca di orate e saraghi. Nei pressi appare una spiaggetta presa d’assalto d’estate da cittadini e turisti, che approfittano di questo angolo blu per un bagno nel pieno centro della città.
Ma partiamo dall’inizio perché la storia della colonna spezzata è piuttosto travagliata. È il 1867. Da sette anni il Regno delle Due Sicilie è capitolato passando ai Savoia. Le autorità di stampo sabaudo decidono, quindi, di realizzare una statua in ricordo dell’ammiraglio Francesco Caracciolo, tra i personaggi di spicco della breve Rivoluzione Napoletana del 1799.
Ufficiale valente della Real Marina del Regno di Napoli, Caracciolo iniziò a nutrire simpatie nelle idee riformatrici e antimonarchiche. Un eroe per i futuri movimenti risorgimentali, ma un traditore per il re Ferdinando IV di Borbone e un nemico per l’invidioso ammiraglio inglese Horatio Nelson che lo fece impiccare all’albero di una nave gettando poi il cadavere in mare. Oggi è sepolto nella Chiesa della Madonna della Catena, in via Santa Lucia.
“Sbrigati: è ben grazioso che, mentre io debbo morire, tu debbi piangere”Francesco Caracciolo
La nuova Napoli “italiana” doveva rispecchiarsi in un modello che si era battuto contro il precedente regno borbonico. E Caracciolo, uomo di mare dall’intrepido coraggio, era l’esempio perfetto. Anche Benedetto Croce si batté per la realizzazione della scultura. Ma a causa della scarsità di fondi, per molto tempo rimase solo il basamento dove collocare la statua. Nel 1914, si optò per una soluzione meno dispendiosa passando al setaccio i depositi del Museo Archeologico di Napoli. La scelta cadde su un’antica colonna di marmo cipollino di circa duecento quintali. Per il suo trasporto furono impiegati sedici cavalli.
La colonna era forse uno degli elementi costitutivi del teatro di Nerone del I secolo d.C. Rinvenuta nel 1600 nel Duomo, inizialmente doveva fungere da ulteriore sostegno per il campanile della Cattedrale, ma poi fu deciso di spostarla davanti alla porta laterale della chiesa di San Paolo Maggiore ed infine rimossa e dimenticata nei magazzini del Museo Archeologico.
L’opera definitiva non fu più intitolata a Francesco Caracciolo. Si pensò di dedicarla ai morti della battaglia di Lissa, avvenuta nel 1866 tra il giovane Regno d’Italia e l’Impero austriaco. Ma alla fine si decise di commemorare “tutti coloro che la vita hanno offerta alla Patria sul mare”.
La colonna spezzata ha così trovato la sua sistemazione ideale come parte integrante della Napoli da cartolina. Davanti a lei le vele macchiano la tinozza azzurra con Capri disegnata all’orizzonte. Sulla sua destra la collina di Posillipo scivola delicatamente fino a tuffarsi in mare. Il tufo giallo del Castel dell’Ovo brilla sullo specchio d’acqua che la separa a sinistra dal maniero galleggiante. E lei è immobile, distratta ad ammirare l’armonia del golfo. Sarebbe stato il luogo ideale per onorare l’ammiraglio Caracciolo, il quale sì perse la statua, ma ottenne che col suo nome fosse battezzata la strada dove poggia la colonna, la più bella e famosa di Napoli.