Era il 1850 quando Giovanni Rajberti, medico e patriota milanese, scriveva nel suo libro “L’arte del Convito” che nel suo «viaggio scientifico del 1845» non ebbe modo di vedere «mangiar polpette né a Napoli, né a Roma, né a Genova», laddove «la vera metropoli delle polpette è Milano, dove se ne fa un gran consumo».
Con buona pace del Rajberti, e delle ottime polpette meneghine, in verità fu già Ippolito Cavalcanti, nel 1837, a parlare di “braciolette di cappucce farsite con polpa di vitella, foglie di cappuccia, uova, burro e salsa di pomodoro” nel suo trattato di “Cucina teorico-pratica”, primo compendio culinario nella Storia del Regno di Napoli.
D’altra parte, ai giorni nostri, questo dato non stupisce. Chiunque abbia avuto la fortuna di sedersi a una tavola conviviale, da Roma in giù, sa bene che le polpette – fritte, al sugo, intinte nel ragù – sono irrinunciabili. Carne macinata, pane raffermo, uova, parmigiano, un po’ di prezzemolo (c’è chi, come nel Lazio, mette il latte) ed ecco pronta una delizia ormai simbolo della cucina popolare. Poi evoluto nel suo “fratello maggiore”: il polpettone; che trova, come per le più minute polpette, le sue varianti regionali.
Quella napoletana è sicuramente una delle più famose e gustose: carne di manzo macinata, pane raffermo, uova, parmigiano, provolone, salame, prezzemolo, sale, pepe e un po’ di rosmarino a rifinire. Certo: come per ogni ricetta popolare non esiste una lista codificata di ingredienti. C’è chi aggiunge il prosciutto; chi al salame preferisce la mortadella; chi, ancora, inserisce addirittura i pinoli e chi, infine, preferisce rosolare in salsa di pomodoro. Il dato comune è questo: il polpettone è una ricetta di recupero. Perché, come di consueto, non si butta via niente.
Piatto di semplice esecuzione, che può assumere la classica forma oblunga o quella più rotonda, le prime testimonianze storiche del polpettone sono posteriori a quelle della polpetta classica. Parliamo dei primi anni dell’Ottocento, quando nella “Appendice della traduzione italiana de Il cuoco reale e cittadino dedicata ad alcune vivande all’italiana d’ottimo e d’ultimo gusto” lo troviamo nominato e illustrato secondo le modalità che ancora oggi ne distinguono la preparazione.
Quella preparazione che genera sorrisi soddisfatti nel commensale e profumi rustici che si spargono in casa. Portando magari la mente a viaggiare verso quei giorni festivi in cui il polpettone era sinonimo di convivialità e allegra condivisione. Uno dei piatti della cucina tradizionale che dimostrano, senza timore di smentita, che a tavola davvero non si invecchia.