Numero
28

La faggeta d’inverno

La faggeta d’inverno La faggeta d’inverno

Il cinguettio dei fringuelli buca il silenzio denso e ovattato del bosco, lungo i dodici chilometri che separano il paesino di Campagna dall’Oasi del Monte Polveracchio, nel Parco regionale dei Monti Picentini.

La ghiandaia scompare e riappare, gioca tra un ramo e l’altro, con le sue piume variopinte e quel canto irriverente. Ogni sforzo di fotografarla cade nel vuoto. L’autunno ha spogliato le chiome degli alberi, trasformando il manto stradale in un morbido tappeto rosso che profuma di umido e di muschio. Non si può resistere alla tentazione di assaggiare l’acqua, ormai gelida, del fiume Tenza che scorre verso Campagna. Il bosco ci fa tornare tutti bambini. Dagli argini del percorso sbuca il cappello di un fungo immobile e sornione, tra le foglie e i residui polverosi.

D’altronde il nome Polveracchio indica una caratteristica geologica tipica di questa montagna di origine calcarea: si sbriciola quando piove, si polverizza come farina quando spunta il sole. Le briciole calcaree si depositano in grandi quantità proprio all’inizio del sentiero, prima di raggiungere l’area picnic, in questo periodo di grandi piogge e di temperature in discesa.

Il faggio domina il paesaggio: alto, snello, dalla bellezza antica, elegante anche quando è spoglio. La sua compagnia smorza i suoni, attutisce i passi, i movimenti, e dona familiarità all’ambiente. Non c’è montagna dell’Appennino meridionale che non sia popolata da boschi di faggi. Qui sul Monte Polveracchio convivono con qualche esemplare di tasso, di acero, con la betulla, una pianta insediatasi in questa zona con le glaciazioni del Quaternario e sopravvissuta al passare dei secoli.

Seduta sul terreno umido, tra le foglie cadute e le radici ingombranti, sembra quasi di sentire la voce di questi alberi: cosa si dicono, come comunicano, in che modo si aiutano. Le praterie ad alta quota resistono all’autunno e all’inverno assorbendo gli ultimi raggi di sole.

È quasi una missione quella di cercare la salamandra pezzata tra le pietre e le foglie bagnate del fiume. A ogni passo un leggero movimento tra le foglie impone di fermarsi e scrutare, ma la salamandra è timida e difficilmente si concede allo sguardo. Chissà dove si nasconde il lupo, simbolo di questa oasi. A lui è dedicato persino un sentiero. Un brivido di emozione sale lungo la schiena: alcune tracce di animali lungo il percorso a prima vista fanno pensare che il re di questo bosco sia passato da queste parti, poco tempo fa. Ma un’osservazione più attenta smorza l’entusiasmo: si trattava molto probabilmente solo di un cane. Il bosco ci fa tornare tutti bambini, con la stessa voglia di stupirci, di sorprenderci, di illuderci.

Nata nel 1988, l’Oasi del Monte Polveracchio si estende su un territorio di circa duecento ettari che comprende anche quella della Valle della Caccia, a Senerchia, in provincia di Avellino. Entrambe le riserve occupano i due versanti della stessa montagna, quella del Polveracchio appunto, che con i suoi 1790 metri è la terza cima più alta dei Monti Picentini dopo il Cervialto e il Terminio, e tra le più alte della Campania.