Numero
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La magia discreta del Granatello

La magia discreta del Granatello La magia discreta del Granatello

Il Vesuvio e il mare intrecciano, da sempre, un rapporto d’amore reciproco. Non solo per merito della classica cartolina che dal panorama di Posillipo guarda al Golfo di Napoli.

Il cammino che dalle ultime propaggini del capoluogo ci conduce lungo i litorali di Portici, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata, Castellammare di Stabia, è intriso di Storia: quella che racconta di pescatori e naviganti che hanno costruito la loro vita intorno a questo lembo di terra, dal Mar Tirreno fino al gran cono del Vesuvio.

Portici, dicevamo. Un luogo dell’anima per chi su queste terre regnava. Siamo nella prima metà del Diciottesimo Secolo: 1740, per essere precisi. Il Re Carlo di Borbone non si contentò di aver già commissionato due autentiche meraviglie architettoniche come la Reggia di Caserta e il Palazzo di Capodimonte. Decise che anche Portici, all’epoca ricca di boschi e vegetazione, meritasse una residenza reale che fungesse da tenuta di caccia, nonché da ricco giardino per ogni specie botanica fosse gradita a corte.

Dalla Reggia nasce, poi, l’esigenza di costruire un fortino che proteggesse da eventuali incursioni via mare. Questa è la genesi del Granatello, l’attuale porticciolo che guarda al profilo di Napoli e si adagia ai piedi della prima ferrovia d’Italia (la Napoli-Portici, per l’appunto). Granatello, così chiamato confidenzialmente, perché in zona sorgeva una rigogliosa piantagione di melograni.

Dalla funzione militare a quella di attracco il passo fu breve: nel 1773 Ferdinando IV, nuovo regnante in casata Borbone, decise che il Granatello sarebbe diventato un vero scalo portuale, con due moli dove arrivare via mare e sostare con le imbarcazioni. La forma del porticciolo che vediamo oggi è, sostanzialmente, quella voluta dal sovrano: un lembo di mare adagiato sulla parte bassa della cittadina, oggi iper-urbanizzata e, proprio per questo, polmone azzurro dove sfuggire per un momento al caos quotidiano.

Il porto del Granatello è una piccola oasi di pace a due passi dalle zone più centrali. Vicino in senso geografico, lontanissimo nel senso dello spirito, dalla routine quotidiana. Le barche attraccate al molo si muovono lente al ritmo delle piccole onde che provengono dal Golfo; lo sguardo, man mano, si allarga verso il cono del Vesuvio, il Monte Somma, la ferrovia porticese, fino a una delle ville vesuviane più belle e maestose: Villa d’Elboeuf, oggi ridotta – purtroppo – a un rudere.

Ma il fascino del Granatello è anche questo: uno spirito del tempo che sembra non aver mai abbandonato questi luoghi, nonostante la speculazione edilizia e l’abusivismo. Un fazzoletto di mare che ricorda, ai porticesi come a tutti coloro che raggiungono questo specchio d’acqua salata, come la bellezza possa sempre prevalere, anche negli angoli più inaspettati.

È qui, infatti, che Portici ritrova la sua antica anima di città Reale. Nel panorama che guarda verso Napoli da un lato e i Monti Lattari dall’altro; nelle ampie fantasie pittoriche dei vedutisti del Settecento, che ritraevano il profilo del Granatello con i loro pennelli; nel maestoso e severo profilo del Vesuvio, mai così incombente e affascinante come visto da questo scorcio.

Il Granatello è una gemma nascosta e, forse, ancora poco valorizzata. Un luogo da scoprire, senza ansie e senza fretta, mentre si passeggia sotto un sole tiepido che riscalda la pelle dei pescatori.