La Napoli del Sebeto

La Napoli del Sebeto

Nasceva dalle falde del Monte Somma, accanto al Vesuvio. Durante il suo cammino si snodava tra i terreni dell’antica Campania Felix, oggi corrispondenti ai Comuni di Volla, Casalnuovo, Casoria.

Arrivato a Napoli, si divideva in due tronconi: uno raggiungeva l’attuale collina di Pizzofalcone; l’altro si fermava sulle rive dove oggi si estende il porto, nella zona detta Ponte della Maddalena, alle porte della città. Chiunque vivesse nella Neapolis dei greci prima e dei romani poi, conosceva questo fiume chiamato Sebeto. Simbolo di fertilità e vitalità di tutta la pianura campana.

Sul finire del Basso Medioevo, con lo sviluppo urbanistico di Napoli, il Sebeto divenne poco più di un rigagnolo, fino a sparire del tutto alla vista, per restare nella memoria collettiva della città. Memoria che durante il periodo vicereale, nel 1635, venne rinnovata dalla fontana monumentale commissionata dal Viceré Emanuele Zuniga y Fonseca allo scultore e architetto Cosimo Fanzago e a suo figlio Carlo.

La Fontana del Sebeto, che fino al 1899 faceva parte del panorama che da piazza Plebiscito digrada verso il mare, oggi orna Largo Sermoneta, al confine tra Mergellina e Posillipo. Il suo profilo ridisegna quello del Golfo, tra la figura del Vesuvio sullo sfondo e le voci dei pescatori che ancora oggi intrecciano le nasse e portano le barche a riva. Napoli, qui, ritrova la sua dimensione di città di mare, com’era nell’originario nucleo della “città vecchia” ai piedi del Monte Echia e a due passi da Castel dell’Ovo, sull’altra estremità del lungomare. Passeggiando verso la fontana, si riesce ad ascoltare il suono della risacca.

L’arco a sesto ribassato, posto al centro, incornicia l’estrema propaggine della Penisola Sorrentina verso Punta Campanella. Tutto intorno, le barche galleggiano al ritmo delle onde. Siamo in una zona solitamente trafficata, a pochi metri dagli chalet del lungomare. Ma bastano davvero pochi passi verso il mare per entrare in una dimensione nuova, di pensiero e di sguardo.

Il Sebeto è rappresentato nell’iconografia classica dei fiumi come un anziano dalla lunga barba, adagiato su una base di piperno, mentre sorregge tre vasche di marmo, al cui interno si trova l’acqua che sgorga dalle figure dei tritoni ai lati. Un tributo alla mitologia classica napoletana, che in questo caso raffigura il simbolo del potere che i Viceré spagnoli esercitavano sulla città. Nel ‘600 le fontane monumentali erano infatti espressione del prestigio delle famiglie più influenti dell’epoca, non solo a Napoli: basti pensare a Roma, con la Fontana dei Quattro Fiumi o quella del Tritone.

E così, mentre camminando ci lasciamo Posillipo alle spalle, lo sguardo si apre verso questo rettangolo di Golfo che prende il largo verso il Vesuvio, i Monti Lattari e l’isola di Capri. La Fontana del Sebeto è lì, a respirare salsedine e a ristabilire la dimensione di Napoli come città d’acqua: rigogliosa, sempre in movimento, per molti versi impetuosa, così com’era il corso del fiume. D’altronde Sepeithos, il nome del fiume in epoca classica, significa proprio “andar con impeto”.

Per questo, dire che siamo di fronte a una fontana “simbolica” non è scontato. Al di là della valenza storica e monumentale, la portata allegorica dell’insieme è tale da contenere un’identità che Napoli porta con sé da più di duemila anni. E che prosegue lungo tutta la linea di costa: da un lato verso il Borgo Marinari e Castel dell’Ovo; dall’altro, verso Palazzo Donn’Anna e Capo Posillipo.

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