Può sembrare strano, ma in Campania anche la pasta, quella classica di grano duro, si presta alla realizzazione di dolci semplici e gustosi. Il simbolo di un’intera regione nel mondo, da sempre condito con i più svariati sughi e condimenti, non ha però quasi mai ceduto alle lusinghe dei sapori zuccherini. Tanto che, agli stessi campani, sembra quasi una bestemmia associare qualunque tipo di pasta – dai rigatoni agli spaghetti – alla consistenza di un dolce.
Come in ogni regola ci sono però le eccezioni. Procediamo con ordine: qual è il dolce della tradizione Pasquale più noto a Napoli e in Campania? La Pastiera, senza dubbio! E qual è l’ingrediente principe della Pastiera, senza il quale manco potremmo stare qui a parlarne? Il grano. Tutto il resto, dalle uova, al latte, agli aromi, viene di conseguenza.
Continuiamo spediti nel nostro percorso: cos’altro si ricava dal grano? Semplice: la pasta. Il cerchio si chiude, quindi, con una domanda: perché non provare a mettere la pasta al posto del grano cotto, visto che sempre dello stesso mondo parliamo?
Una follia? Tutt’altro. Lo sa bene chi ha avuto la fortuna di poter assaggiare la Pastiera di Pasta. State pensando a una sorta di frittata ripiena di formaggi, salumi e pepe? Nulla di più sbagliato: qui parliamo di un vero dolce, nato dalla tradizione povera della cucina campana, che però non ha riscosso lo stesso successo “mediatico” della più blasonata versione col grano. Un piatto che racconta l’identità contadina di un popolo che non poteva davvero permettersi di buttare via nulla, figuriamoci la pasta cucinata il giorno prima – durante la domenica Pasquale – e avanzata in pentola. Da qui nasce l’idea: invece della classica frittata, prepariamo un dolce.
La pasta di base sono i tagliolini o i più sottili capellini d’angelo, che si lasciano cuocere in acqua salata (altrimenti il discorso sul recupero del giorno prima verrebbe a cadere) per poi farli riposare all’interno della stessa o, nel caso dei puristi che non dimenticano la derivazione dalla Pastiera classica, in una ciotola di latte. Nel frattempo si uniscono le uova sbattute allo zucchero e agli aromi, quelli tipici della Pastiera: vaniglia, essenza di millefiori, canditi, cannella. Una volta pronti, si unisce la pasta al composto, per poi versare in una teglia imburrata, da infilare in forno per poi stare lì pronti, a gustare una delle ricette tradizionali più sorprendenti che questa parte d’Italia abbia mai generato.
Nascita che si perde nella notte delle tradizioni più antiche. Come tutto ciò che riguarda la storia contadina, non è certo dove la Pastiera di Pasta sia nata. Ognuno si prende, letteralmente, il suo “pezzettino” di merito: chi parla dell’area Vesuviana, in particolare la zona costiera di Torre del Greco; chi invece dell’Alto Casertano, dove a volte troviamo l’aggiunta di un disco di pastafrolla a fare da base nella teglia imburrata; chi, ancora, individua la genesi fra i monti dell’Avellinese, zona ricca di tradizioni enogastronomiche.
Pur nell’incertezza delle origini, una cosa è sicura: questo dolce retaggio della memoria passata merita di essere riportato alla mente e al gusto. Un ricordo delle giornate Pasquali, quando la primavera cominciava timidamente a bussare alle porte delle cascine e la Madre Terra si risvegliava dal suo torpore. Gli aromi, i profumi, il gusto di questa Pastiera – uniti a quelli più noti della “cugina” classica – salutano così la stagione del risveglio.