La cucina napoletana fa subito pensare a un tripudio di pasta: ragù, genovese, le zuppe povere con fagioli, patate o legumi in genere, uno “scarpariello” al pomodoro fresco, spaghetti alle vongole o ai frutti di mare.
Eppure è in tempi piuttosto recenti che i napoletani si sono guadagnati la fama di esperti dell’arte pastaia. Fino alla metà dell’Ottocento, in tempi di magra economica, i partenopei erano noti come “mangiafoglie”: popolo dedito alla produzione e al consumo di ogni tipo di verdura.
È così che nasce l’idea della pizza ripiena: mettere le verdure in un gustoso involucro di pasta lievitata doveva essere molto più soddisfacente che mangiarle lessate con un filo d’olio e una manciata di sale. Durante le feste di Natale, in particolare, erano in molti coloro che portavano in tavola la pizza con la “jeta”. Vale a dire: la bietola. Piatto sostanzioso, robusto e gustoso nella sua semplicità, perfetto per il pranzo che anticipava il cenone serale.
Il tempo ha poi fatto evolvere la ricetta. Al posto di una pizza ripiena di semplice bietola, si è passati alla scarola, verdura regina della tavola napoletana, quasi sempre associata a piatti di grande struttura e robustezza. La pizza con le scarole viene ancora preparata per il pranzo del 24 dicembre, facendo saltare la verdura in padella con olio e aglio tritato, per poi aggiungere acciughe, olive nere denocciolate, capperi e uvetta. Il tutto condito da sale e pepe. Il ripieno, così ottenuto, viene poi messo nella pizza che sarà cotta al forno in una teglia oleata. Niente cottura a legna, per la scarola: c’è bisogno del forno che tutti noi abbiamo in casa.
È importante, infine, fare una precisazione. A Napoli esistono due tipo di scarola: quella riccia e quella liscia. La prima si usa per lo più in preparazioni a crudo, come le insalate, condita con un filo d’olio extravergine d’oliva. La seconda è quella che meglio si accompagna alla nostra sostanziosa pizza, meno “rude” e più delicata.
La pizza con la scarola è davvero il simbolo di come i napoletani sappiano ricavare l’oro dal nulla. Basta pensare alla radice etimologica del termine “scarola”, che deriva dal latino “escarius”, cioè: commestibile. Niente più, niente meno di una verdura appena appena mangiabile, senza slanci di gusto e sapore, adatta a chi non vuole viziare troppo il palato.
Sulle tavole napoletane e campane, con piccole varianti a seconda della zona, la scarola è invece diventata – come si diceva – regina della tavola; sovrana attorno cui ruotano ingredienti, procedimenti e preparazioni dal sapore densamente invernale.