Silenzio. Dentro e intorno un silenzio profondo. Dal chiostro immenso della certosa alzando lo sguardo si vedono tante case una sopra l’altra, così diverse e scomposte rispetto all’armonica sequenza di celle tutte uguali.
«Abito nel deserto con dei fratelli», diceva San Bruno riferendosi all’ordine certosino che egli aveva fondato nel 1084; oggi molte certose sono circondate da case e dalla vita “mondana”, proprio quella che i monaci rifiutavano per vivere nella solitudine. È così anche per la Certosa di San Lorenzo a Padula, la prima per fondazione delle tre presenti in Campania e tra le più antiche in Italia, sorta nel Vallo di Diano a partire dal 1306 per volontà del conte Tommaso Sanseverino.
I certosini non ci sono più – dal 1882 la certosa è un monumento nazionale – ma la loro presenza resta negli spazi, nelle decorazioni e nel silenzio che ancora a distanza di secoli caratterizza questo luogo.
Ascetismo e cenobitismo, ovvero rinuncia al mondo, solitudine ma anche momenti di condivisione previsti dalla regola, per non perdere di vista la perfezione spirituale, queste erano le direttive per i monaci dall’abito bianco. La preghiera nella cella, ma anche insieme nella chiesa, il pasto consumato in silenzio nel refettorio in occasioni speciali, la passeggiata in coppia nel chiostro o la “ricreazione” concessa una volta al mese.
Le cella, la chiesa, il refettorio, i chiostri sono i luoghi in cui i certosini portavano avanti questa impegnativa scelta di vita, sotto la supervisione del priore, affiancati dai conversi, laici addetti alla cura della certosa. Una perfetta macchina organizzativa in grado di far funzionare questo microcosmo anche negli aspetti più terreni della quotidianità.
L’orto per coltivare piante officinali e verdure in ogni cella, un terreno esteso, che circondava e isolava la certosa, per gli alberi da frutto e i cereali, le stalle, e un lavorio costante e meticoloso da parte dei conversi, in modo da sollevare i monaci da qualsiasi incombenza. E ce ne erano tante, basta guardare la cucina. Un’imponente cappa, le piastrelle colorate alle pareti e storie di pranzi preparati per ospiti illustri, come la leggendaria frittata di mille uova.
Sì, perché personaggi importanti, come re o prelati, erano ammessi e a loro era riservata la foresteria, che, non a caso, è il primo ambiente che si incontra una volta varcato l’ingresso. Il mondo entrava nella certosa, solo per qualche momento, mentre l’unica “evasione” concessa ai monaci era offerta dal desertum, il grande parco che si può ammirare dall’alto attraverso lo Scalone ellittico, uno dei gioielli architettonici di Padula.
Posto all’estremità del chiostro grande, è una celebrazione delle maestose scale settecentesche: un vortice di gradini in pietra locale illuminato da enormi finestroni che si aprono sul verde del parco. Fu progettato da Gaetano Barba, un allievo di Luigi Vanvitelli, e serviva ad accedere al piano superiore del chiostro dove i certosini svolgevano la loro passeggiata. È un meraviglioso incastro di curve sinuose e gradini in uno spazio tutto sommato ridotto, chiuso com’è in una torre, a cui la natura fa da sfondo. Nascosto e sorprendente proprio come la Certosa.