Nella piazza delle favole

Nella piazza delle favole

La follia nascosta dietro la pacatezza borghese: come un parente troppo originale, capace di attività artistica inconsueta e poco ortodossa, amato entro limiti stretti e in fondo tollerato solo per i legami familiari, così piazza Mincio è ben protetta da palazzoni anonimi, rigidamente esclusa dai percorsi turistici di massa, e spesso persino “dimenticata” dalle guide, come una presenza ingombrante perché imprevedibile.

Non ci sono resti di una civiltà secolare qui, niente colonne o icone di un impero lontano nel tempo. C'è solo la testimonianza del genio irrequieto di un architetto che nei primi del Novecento volle compiere il delitto di hybris: decise di sfogare la sua fantasia nel cuore della classicità, ignaro del fatto che i Romani probabilmente non lo avrebbero mai perdonato.

Gino Coppedé, l'autore di quelle favole trasformate in architettura, dopo tutto era nato e cresciuto a Firenze, aveva trovato le prime soddisfazioni a Genova per poi consolidare la sua fama anche lontano, a Messina come a Siviglia: difficile che gli abitanti della capitale accettino di far divampare per lui la scintilla dell’orgoglio. E poi la sua mente e la sua matita erano davvero irrefrenabili, “troppo” per i canoni consolidati nei secoli.

L'angolo segreto accanto a via Tagliamento è un trionfo di ragni e di api, altro che monumenti di condottieri a cavallo. Torrette e piccoli tetti spioventi, muri affrescati con tratti color oro, persino un gigantesco candeliere di bronzo appeso al centro di un arco, del tutto incongruo fra le palazzine della speculazione recente e le basiliche della Storia di secoli. Forse l'unica somiglianza è nei getti della fontana al centro della piazza, o nei doccioni che reggono piccoli terrazzini semi-nascosti.

E non c'è dubbio che proprio questa esclusione dai percorsi obbligati, l'idea tutta romana che Coppedé sia un episodio estraneo, un'esperienza chiusa nella vita cittadina, ne sono una conferma, accanto alle immagini di fate e cavalieri: quest'angolo di città diventa, come premio inevitabile per i coraggiosi in ogni fiaba che si rispetti, un tesoro da scoprire.

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