Dal 1951 al 1992 passano quarantuno anni. Quattro decenni che hanno cambiato non solo la gastronomia, ma il profilo di un intero quartiere: il Rione Sanità, a Napoli.
Nei primi anni ’50 la signora Concettina apre la pizzeria che porta il suo nome, affiancato ai “Tre Santi” che tutt’oggi ne adornano la facciata. Nel 1992, invece, nasce Ciro Oliva, pizzaiolo che ad appena 27 anni è diventato una delle star che popolano il mondo della gastronomia napoletana e internazionale. Quattro generazioni di pizzaioli, da sua bisnonna a oggi, che hanno fatto di Concettina ai Tre Santi una tappa fissa per chi vuole capire che cos’è la pizza.
Raggiungiamo Ciro di martedì, presso il suo locale. Giorno infrasettimanale. Nonostante ciò, i camerieri prendono comande a ciclo continuo, i tavoli sono pieni, la fila all’esterno comincia pian piano a formarsi. Le pareti di Concettina sono adornate dai Pulcinella di Lello Esposito, l’udito è allietato dalle note di Pino Daniele, gli odori sono quelli del forno a legna e dei pomodori Datterini, delle frittatine di pasta e della ricotta fresca. Ogni senso è accolto da un tripudio di gioia.
Le mani di Ciro corrono veloci sul disco di pizza, mentre la voce coordina ogni singolo collaboratore: chi stende la pasta, chi inforna, chi condisce, chi serve ai tavoli. Una macchina perfetta. La prima pizza che arriva è quella al ragù.
Perfetta, nella sua semplicità: ripiena di ricotta fresca, immersa nella densità del ragù napoletano e profumata col basilico e qualche scaglia di parmigiano. Arriva poi il momento della Pacchianella. Chi è napoletano, ricorderà le pizze cotte dalle nonne nel forno di casa, nel classico “ruoto” – vale a dire un recipiente tondo di alluminio – e sfornate ben calde e pastose. La Pacchianella ricorda molto da vicino questa tradizione, ricoperta di pomodoro Datterino fresco, alici di Cetara, olive nere di Gaeta, origano e basilico. È Ciro stesso a farci vedere come si fa.
«Si prende il disco di pasta e lo si allarga, man mano, per poi mettere prima la salsa di pomodoro e dopo i datterini a pezzetti. Dopodiché arrivano gli altri ingredienti e il basilico a completare». Il risultato è una pizza soffice, dal sapore pieno e soddisfacente, che bilancia con gusto la sapidità delle alici con la dolcezza e l’acidità dei pomodori. Un capolavoro di semplicità unico.
Così come la frittatina di pasta, quella classica napoletana, che qui viene condita col sugo alla Genovese. «Cui aggiungo zeist di limone – dice Ciro – per conferire un pizzico di freschezza e una maggiore digeribilità». Qui niente è lasciato al caso, nemmeno l’assemblaggio degli ingredienti: vicino alla frittatina, già ripiena di per sé, viene infatti servito un pentolino pieno di carne e sugo alla Genovese. Il cliente apre la frittatina, prende il cucchiaino, lo affonda nella Genovese e condisce il ripieno a suo piacimento.
La storia di Ciro Oliva si condensa qui, nei suoi piatti e nella sua genialità di chef che sa unire, come pochi, la veracità di un rione popolare con le innovazioni più interessanti della cucina contemporanea. Non è un caso, d’altra parte, che le pizze qui siano spesso accompagnate dal vino, in un costante lavoro di ricerca degli abbinamenti. Il sommelier di sala, Emanuele Labagnara, cura con passione e dedizione la vicina cantina a livello strada, scavata nel tufo, arrivando a vincere il premio di sommelier dell’anno secondo la guida Mangia&Bevi del Mattino, edizione 2020. Prima volta per un sommelier che lavora in pizzeria.
“Piccoli” indizi di come la ristorazione popolare stia cambiando senza rinnegare se stessa. Di come la pizza sia diventata un’esperienza che va al di là del succoso disco di pasta da gustare in ogni luogo e in ogni momento della giornata. Tanta strada è stata fatta da quando Concettina vendeva le sue “pizze a 8”: mangi ora e paghi a otto giorni, per chi non poteva permettersi di farlo subito. Una strada che racconta di Napoli, dell’abilità, della capacità di emergere di tanti giovani che stanno regalando un nuovo volto alla gastronomia e alla città.