Sognando Tharros, a occhi chiusi

Sognando Tharros, a occhi chiusi

Vincere la scommessa, riuscire a immaginare com’era Tharros ai tempi del suo splendore, non è difficile: basta arrivare al mattino presto sul promontorio di capo San Marco, con il sole ancora pallido e i gabbiani come compagnia, e la fantasia si scatena.

Si indovina l’approdo lontano dei Fenici, quando Tharros era una loro colonia e sorgeva accanto all’antico villaggio nuragico di Su Muru Mannu (Il Grande Muro). Di quell’epoca sono sopravvissute due necropoli e il tophet, il santuario cimiteriale dove erano deposte le urne con le ceneri dei neonati e degli animali sacrificati.

Si sogna l’affaccendarsi dei mercanti cartaginesi, i loro traffici, le loro trattative. Si arriva quasi a sentire gli ordini secchi dei Romani arrivati alla conquista attorno al 238 a.C. I Romani qui si diedero molto da fare. Costruirono la rete stradale, l’acquedotto, le terme. Si potrebbe dire che Tharros visse un periodo fortunato, che finì quando cadde l’Impero Romano d’Occidente.

Fu allora che per questa ex colonia fenicia iniziò un periodo difficile, durante il quale fu governata prima dai Vandali e poi dai Bizantini. Finché le incursioni dei Saraceni divennero talmente frequenti e talmente pericolose, che i Bizantini decisero di abbandonare la Sardegna lasciando Tharros nelle mani degli sciacalli e dei pirati.

Oggi alle rovine che si stagliano sul mare si arriva dopo l’immersione nella penisola del Sinis, già ubriachi delle bellezze naturali e quindi distratti, pronti a rinunciare ad ogni razionalità di fronte all’idea del passato. La storia è lì, stretta tra il verde e l’azzurro, tra il cielo e la macchia mediterranea, nella coscienza che di Tharros si parlava, anzi, si scriveva già nell’VIII secolo prima di Cristo.

Viene persino la tentazione di credere alla leggenda secondo la quale quando la città iniziò a ribellarsi al dominio di Roma, fra i soccorsi mandati da Cartagine e arrivati troppo tardi c’erano anche gli elefanti. Non ce n’è traccia, ma la suggestione del mito di Annibale è irresistibile e non è difficile riviverla guardando le rovine dal mare. Certo il passaggio dei Romani ha lasciato poco dell’epoca punica. Si capisce solo che la città era estesa, probabilmente tre chilometri.

Chi ha fatto una tappa nei musei sardi, a Cagliari soprattutto, prima di venire a Tharros, può chiudere gli occhi e vedere l’omaggio a statuette egizie, o farsi ispirare dalle tracce dei culti pagani. Quasi si sentono i rumori delle battaglie tra fazioni romane dopo l’era sillana.

Poi, aprendo gli occhi e tornando alla realtà, si respira a pieni polmoni l’odore del mirto e del cisto, rimasti com’erano allora. Persino il vento, instancabile compagno di qualsiasi avventura in Sardegna, dinanzi alla bellezza e alla ricchezza della storia di Tharros si ferma in religioso silenzio. Il mare no. Il mare continua a muoversi, ignorando le vicende umane passate e presenti.

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