I Campi Flegrei profumano di vigne e salsedine. Appena raggiunta l’uscita che dalla tangenziale di Napoli conduce al Lago d’Averno, si entra in una terra dove mito e realtà si intrecciano e si alimentano, l’uno con l’altra, fin dai tempi di Omero e Virgilio.
I terreni vulcanici, il tufo giallo, gli specchi d’acqua che dai laghi conducono al mare, disegnano un profilo unico nel suo genere, tra riserve naturali e angoli di paradiso che resistono all’urbanizzazione selvaggia. La tenuta Portolano è uno di questi angoli.
Ad accoglierci troviamo Mara Portolano e suo fratello Stefano, eredi della storica famiglia napoletana che tutt’oggi è legata al mondo della vendita dei guanti. Da meno di dieci anni, Mara e Stefano si occupano non tanto di moda, quanto di vigne e vini, coltivando e curando i vitigni storici del luogo: Piedirosso e Falanghina, più un paio d’ettari di Aglianico.
Le vigne sono a poca distanza dal Lago d’Averno, in un terreno scosceso che guarda al vicino Comune di Quarto. D’improvviso, senza quasi accorgersene, si abbandonano i mostri di cemento costruiti negli anni Settanta per raggiungere questa oasi abbracciata dalla vista del Monte Nuovo e da quella di Capri.
«Qui abbiamo circa sei ettari – ci spiega Mara Portolano – più altri tre che abbiamo poco distante, dove coltiviamo Falanghina. Dove siamo adesso lavoriamo esclusivamente col Piedirosso e con l’Aglianico, quest’ultimo pur essendo un vitigno più tipico del Sannio e dell’Irpinia». Con Mara passeggiamo tra le vigne, tocchiamo le foglie ormai ingiallite dall’autunno, annusiamo il vento che oggi soffia forte, e porta i profumi del mosto in cantina.
Una realtà simile in pieno centro urbano. Pozzuoli, comune più grande dei Campi Flegrei, conta più di 80mila abitanti. «Non è facile – dice Mara mentre risale verso i vigneti di Piedirosso – in un certo senso siamo dei guardiani del territorio. Lo difendiamo, cerchiamo di valorizzarlo e di proteggerlo dalla speculazione edilizia più aggressiva». D’altra parte i Campi Flegrei nascono così: un’immensa distesa di terreni, accarezzati dalla salsedine, dove coltivare verdure, alberi da frutto, vigne. Una delle zone più fertili dell’intera Campania Felix.
L’azienda Portolano crede fortemente in un ritorno alle origini. Quei tempi che hanno il sapore del mito, quando la Campania era il serbatoio enologico dell’Antica Roma. Quando imperatori e membri dell’aristocrazia dell’Urbe costruivano qui le loro ville: per godere di uno dei panorami e dei climi più belli al mondo.
Certo: i tempi sono molto cambiati, e nessuno si illude di poter tornare a Ville gentilizie e bighe trainate da cavalli. Ma il rispetto per il territorio, per la sua vocazione agricola e per i suoi ampi spazi dall’aria salubre, non conosce invecchiamento di alcun tipo. «Per questo noi siamo qui: perché questo è un territorio magico – sintetizza bene Mara – chi fa enologia qui non produce semplicemente vino: racconta un luogo, con la sua cultura e le sue leggende, che non possono essere dimenticate così, da un giorno all’altro».
Piedirosso e Falanghina, si diceva. In aggiunta, un pizzico di Aglianico. I vini della cantina Portolano narrano davvero un territorio. Non con le parole, ma attraverso sapori e profumi: zolfo, frutta rossa, bacche selvatiche, sentori morbidi e speziati. A parlarcene è Stefano: «I nostri vini nascono da radici storiche, letteralmente! Basti ricordare che qui lavoriamo ancora su vigne a piede franco. Ciò vuol dire che le nostre piante non sono innestate, come la maggior parte dei vigneti italiani, su barbatelle di origine americana. Sono quelle che c’erano secoli fa, prima dell’avvento distruttivo della fillossera».
Un parassita della vite che, da metà Ottocento in poi, distrusse le coltivazioni vinicole di mezza Europa. I Campi Flegrei, essendo territorio vulcanico, non ne vennero intaccati perché il parassita non riusciva a scavare i suoi “tunnel” nel terreno per raggiungere le piante. Un esempio fra i tanti, forse quello più “pratico”, che dimostra come l’enologia, da queste parti, sia una parte definita dell’identità locale.