La cassata dell’imperatrice

La cassata dell’imperatrice

Miele, ricotta e datteri per la preparazione, una copertura di un bel rosso vermiglio e un’elegante alzatina a rendere il tutto più scenografico. Non sono i suggerimenti di un foodblogger, ma di certo il risultato non sfigurerebbe se pubblicato su instagram, con tanto di hashtag #cassatadioplontis.

Si chiama così questo dolce prelibato perché lo si può ammirare in quella che gli antichi chiamavano Oplontis, oggi Torre Annunziata, e non in una raffinata pasticceria, ma sulla parete di una delle ville d’otium più belle della Campania: la cosiddetta villa di Poppea, in quanto si ritiene sia appartenuta alla moglie dell’imperatore Nerone, sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

In questa residenza la parola d’ordine è lusso espresso da un'architettura ricercata e imponente, circondata da curatissimi giardini e rivolta verso il mare; da decorazioni pittoriche raffinate, a tratti illusionistiche; da un’immensa piscina, dal quartiere termale e dai grandi saloni. Proprio qui ad accogliere gli ospiti c’erano le raffigurazioni più preziose della villa, i pavoni, le maschere teatrali e delicati cesti contenenti melagrane, frutti e poi una torta che i moderni hanno ribattezzato “cassata oplontina”.

L’aspetto, in effetti, ricorda molto il famoso dolce siculo, e probabilmente anche il sapore doveva essere abbastanza simile. Consiste in una preparazione a base di frutta secca, noci, pinoli e mandorle, arricchita e ricoperta con ricotta di pecora, decorata con una pasta di mandorle, resa rossa dalla polvere di cocciniglia, e con datteri; un dolce dal sapore intenso, godurioso, adatto alla facoltosa mensa della villa di Poppea.

Senza dubbio un fine cena, il pasto più ricco di portate nell’antica Roma, che magari arrivava dopo cinghiali ripieni di frutta e cosparso con il garum (una pregiatissima salsa ottenuta dalla macerazione di interiore di pesce e sale) o, trovandosi la villa vicino al mare, piatti a base di murene e crostacei.

A raccontarci questi e altri piatti sono gli affreschi delle domus e delle ville e i reperti di cibo carbonizzato dei siti vesuviani, oltre che i ricettari antichi come quello famoso di Apicio, vissuto nel secolo I d.C.

Il cuoco-scrittore illustra elaborate ricette, ma fornisce anche spunti per cimentarsi con la cucina di duemila anni fa. Non l’elaborata cassata oplontina, ma qualcosa di più facile come il pane raffermo fritto e condito con il miele o, per restare in tema di prelibatezze a base di frutta secca, i datteri privati del nocciolo e farciti con noci e pinoli sminuzzati, profumati al pepe e poi o fritti o immersi nel miele caldo.

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