Le anime pezzentelle

Le anime pezzentelle

Napoli città del sangue. Quello del Santo patrono, il vescovo Gennaro, che ogni anno ripete il suo miracolo. Napoli città del tufo e della pietra lavica. Quella in cui sono ricavati gli ipogei delle chiese che ancora oggi accolgono il riposo delle anime trapassate.

Napoli città dove la religione si trasforma in liturgia intima e personale. Dove il rapporto con l’Aldilà è qualcosa in più della semplice messa domenicale. I napoletani, con i santi e con le anime di chi ha varcato la soglia della vita terrena, hanno da sempre un dialogo diretto. Come ci mostra l’ipogeo della chiesa di Santa Maria del Purgatorio ad Arco.

Siamo in pieno centro, tra la folla vociante di via Tribunali. Nel cuore del Decumano Maggiore si accede nella più profonda spiritualità napoletana. Santa Maria del Purgatorio ad Arco sorprende e quasi stordisce con i suoi fastosi arredi barocchi. I quali risaltano ancora di più se messi a confronto con ciò che si apre al di sotto dell’altare maggiore.

Una chiesa sotterranea, spoglia e austera, accoglie i visitatori con un altare altrettanto denso di rigore ed essenzialità. Dai marmi e le volte dorate si passa alla ruvida materialità della pietra. Siamo, d’altra parte, in quello che fu pensato già nel progetto originario come un cimitero per le anime ignote. Dove trova riposo chi, nemmeno in vita, ebbe un nome certo.

L’ipogeo di Santa Maria del Purgatorio ad Arco accoglie i teschi di chi è trapassato senza avere una lapide con inciso un nome. Ed è così che nasce il culto delle anime pezzentelle. Fin dal Seicento, i napoletani vengono a far visita a queste anime ignote. Proprio come si farebbe per una persona cara che non c’è più.

Ognuno di loro adottava, letteralmente, un teschio. Il quale veniva pulito e curato così da preservarlo e difenderlo dall’incuria del tempo. È così che la pietas del popolo napoletano si prendeva cura di questi morti senza nemmeno un nome: anime del purgatorio che, attraverso la cura costante di chi le aveva adottate, possono finalmente affrancarsi dalle sofferenze e raggiungere l’agognata meta del paradiso.

Ecco perché la liturgia napoletana si trasforma in rapporto personale tra sé e le anime dell’Aldilà. Le anime pezzentelle, così definite dal latino “petere” (chiedere), domandano appunto un po’ di refrigerio dalle sofferenze imposte a chi non ha nemmeno un nome. E per ciò stesso costretto a passare dai labirinti del purgatorio.

A refrische ‘e ll’anime d’‘o priatorio.
A suffragio delle anime del purgatorio.
Antica espressione napoletana

Entrare nell’ipogeo di Santa Maria del Purgatorio ad Arco significa conoscere la ritualità assieme cristiana e pagana del popolo napoletano. I teschi sono ancora lì: disposti su piccoli altarini o adagiati all’altezza del terreno che tutt’oggi ricopre le tombe. Il più famoso è sicuramente quello di Lucia. Nome di fantasia, proprio perché nessuno di questi trapassati ha un nome. Un cranio sormontato da una corona e da un velo di sposa. Si dice, per tradizione orale tramandata, appartenente a una principessa morta poco prima di convolare a nozze.

Un culto vivo ancora oggi nel cuore dei vicoli del centro storico napoletano. Alcune grate in ferro separano l’ipogeo di Santa Maria dalla strada soprastante. Le voci e le preghiere di chi si dedica al culto delle anime pezzentelle riescono, però, ad arrivare dalla città dei vivi a quella dei morti. In un culto mai sopito, dedicato a chi si dibatte per raggiungere la serenità eterna.

Oggi, i visitatori lasciano bigliettini scritti a penna e biglietti della metropolitana vicino ai teschi dei trapassati. Per testimoniare, così, la loro presenza in quel determinato giorno, a quella determinata ora. Un ricordo impresso su carta che sfugge alla caducità del tempo e della vita. Il culto delle anime pezzentelle, in questo angolo antichissimo di Napoli, è riuscito a sconfiggere persino la morte.

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