Quando comincia a piovere, a Gairo i più anziani hanno un brivido, e guardano al cielo come una minaccia.
Era il 1951, e dalle nuvole scendeva forte un’acqua nemica, la stessa che nel nord Italia doveva annegare il Polesine, e che per il paesino fu davvero, come in una metafora spietata, l'ultima goccia. Gli acquazzoni erano stati feroci sul piccolo centro dell'Ogliastra, e il territorio era ormai stravolto per mezzo secolo da smottamenti e frane: così dopo l'ultima alluvione, cinque giorni di pioggia violenta e senza tregua, gli abitanti cominciarono ad abbandonare le vecchie case, costruite sui pendii, per cercare una dimora più stabile.
Una fetta di popolazione si accontentò di salire più in alto, rifondando il paese come Gairo Sant’Elena. Un'altra fetta si trasferì a pochi chilometri, fondando Taquisara, e la fetta più robusta si allontanò fino al mare, fondando Cardedu.
Dicono gli studiosi che il nome di Gairo potrebbe derivare dalle radici greche Gà e Roa, cioè Terra che scorre. Il che fa pensare che la fragilità del borgo era già nota agli antichi. Ma le radici della popolazione erano profonde: la storia racconta come ancora negli anni Sessanta i vecchi di Gairo si ostinassero a restare fra i loro muri traballanti, ignorando i moniti e resistendo ai rimproveri delle famiglie preoccupate.
E a passeggiare in mezzo a quello che resta delle case sembra di sentire un richiamo, l'orgoglio di un radicamento nella terra, quella degli avi, anche dopo che si era rivelata debole e traditrice. Non c'è atmosfera da thriller fra i pezzi di intonaco rosa o azzurrognolo ancora aggrappati al muro, ma un senso di struggimento, l'ombra di qualcosa che poteva essere e non è stato, ed ora è perso per sempre.
Oggi la stazione del trenino verde a Taquisara e le acque trasparenti del Tirreno a Cardedu riportano la mente a un puro spot delle vacanze. Ma le nuvole che si impigliano sui tetti diroccati di Gairo vecchia sono lo sfondo ideale di un racconto costruito sui sogni. Finestre che si chiudono sul nulla, soffitti aperti sul cielo, pareti in piedi per miracolo: il paese fantasma è una meta per viaggiatori dell'anima, più che per turisti.
Qualche costruzione rimasta dritta affascina i visitatori, i più stupidi ignorano i divieti e si arrampicano su gradini traballanti, pur sapendo che muri e pavimenti aspettano solo il momento di unirsi ai sassi, fra lucertole, rovi e qualche vecchio fico cresciuto a stento in mezzo alle rovine.