La cucina è materia viva. Il nostro modo di mangiare, e di cucinare, è in continua evoluzione: si nutre (letteralmente) di incroci, contaminazioni, tendenze del tempo. È per questo che, a semplice titolo di esempio, il ragù napoletano che mangiamo oggi è diverso da quello di cinquant'anni fa: basta pensare all'utilizzo dell'olio al posto della sugna.
È difficile, quindi, risalire a ricette che affondano le loro radici in tempi molto lontani, quando gli antichi romani abbellivano con le loro ville aristocratiche le sponde della Campania Felix.
Della Villa di Poppea a Oplontis abbiamo già parlato, in riferimento all'affresco della cosiddetta cassata oplontina: un dolce la cui forma ricorda quella della famosa preparazione siciliana, affrescato su uno dei muri della stupenda villa d'otium sepolta dalla cenere e dai lapilli del Vesuvio nel 79 d.C.
Non esistendo una ricetta codificata della cassata oplontina, abbiamo provato a replicarla partendo dagli ingredienti e dalle suggestioni culinarie dell'epoca. La nostra chef Alessandra Calvo si è cimentata in questo recupero filologico partendo da un composto di ricotta e miele, ingredienti molto utilizzati dagli antichi romani.
La base della cassata è composta da un panetto (al posto del “moderno” Pan di Spagna) che abbiamo poi decorato con frutta secca, datteri, albicocche e fichi “ripassati” e lucidati nel miele. Tutto intorno, una “fascia” di mandorle tritate e stese a mattarello, colorata a mano grazie alla curcuma.
Si tratta, come dicevamo, di una rielaborazione basata sugli ingredienti utilizzati all'epoca e su più moderne suggestioni. La studiosa Salza Prina Ricotti parla direttamente di “cassata siciliana” senza fare riferimento a una specifica ricetta oplontina, soffermandosi sul colore rosso porpora delle mandorle che cingono il dolce: «Con cosa mai le avranno dato questo colore trionfale? Mistero».
Si tratta di una sostanza che non conosciamo e che non possiamo perciò definire. Ecco perché la cucina si nutre di evoluzioni, cambiamenti e perché no: sperimentazioni, anche nel segno della tradizione.